giovedì 21 Novembre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

ELEZIONI USA / Lo spettro dei “terzi incomodi” per Kamala Harris e Trump

Uno spettro si aggira nelle urne degli Stati Uniti: sono gli “altri” candidati alla Casa Bianca, quelli che corrono in alcuni Stati – dove hanno deciso di puntare i loro finanziamenti – e che potrebbero far pendere l’ago della bilancia. Nessuno di loro prenderà più dell’1% in termini percentuali, ma sono voti potenzialmente sottratti a Kamala Harris e Donald Trump, e negli Stati in bilico potrebbe fare tutta la differenza. La presenza dei candidati terzi incomodi vbiene raccontata da Alessandra Quattrocchi sul giornale online La Voce di New York.

Jill Stein, storica candidata ecologista del Green Party, – scrive Quattrocchi – potrebbe sottrarre voti essenziali alla democratica Kamala Harris soprattutto nel Michigan, uno degli Stati chiave. Intorno a lei si sta coagulando la minoranza araba, forte nello Stato, indignata per la politica USA di sostegno continuo a Israele.

Non è la prima volta che Jill Stein gioca un ruolo rilevante: nel 2016, quando lo scontro era Trump-Hillary Clinton, in Michigan Donald Trump vinse per 10.704 voti in più, mentre Jill Stein ne ricevette 51.463 voti, simili i risultati in Wisconsin e Pennsylvania.

Nel 2000, il verde Ralph Nader ottenne 97.488 voti, ma Al Gore perse contro George Bush per 547 (sì, 547) voti. Nel 1992 l’indipendente Ross Perot succhiò preferenze anche dall’altro campo, attraendo elettori insoddisfatti sia del Partito Democratico, sia di quello Repubblicano.

Tutto in nome del pluralismo democratico, concetto che si capisce molto bene in Europa, dove alle urne di quasi tutti i Paesi concorrono una miriade di piccoli partiti. Il problema negli Stati Uniti, dove prevale il bipartitismo, è il sistema elettorale: per conquistare la Casa Bianca servono 270 voti elettorali e ognuno dei 50 Stati ha un peso diverso in voti elettorali. Non bisogna solo vincere, ma vincere negli Stati giusti, quelli in bilico appunto.

Potrebbe attrarre voti da tutti i partiti anche Chase Oliver, candidato del Libertarian Party. Ma i Democratici sono molto più preoccupati da Jill Stein, che è sulla scheda elettorale in ben 38 Stati, e fra quelli essenziali oltre al Michigan ci sono Wisconsin, la contesissima Pennsylvania, Georgia, North Carolina e Arizona. “La corsa presidenziale potrebbe ridursi a poche migliaia di voti in una manciata di Stati” dice al New York Times Rahna Epting, direttrice esecutiva del gruppo liberal MoveOn.

È però semplicistico accusare Stein di sottrarre voti democratici. Per esempio, molti di coloro che nel 2016 votarono per la candidata verde probabilmente non sarebbero andati affatto alle urne e non avrebbero votato per altri, e alcuni avrebbero scelto Trump e non Hillary Clinton: lo sostiene Bernard Tamas, docente di scienze politiche alla Valdosta State University che ha scritto un libro sull’effetto dei partiti minori nella politica degli Stati Uniti.

Comunque, venerdì scorso il Democratic National Committee ha diffuso in Michigan una pubblicità elettorale video contro Stein in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin: slogan, “Un voto per Stein in realtà è un voto per Trump”. I dem fanno notare, esaminando i bilanci della campagna depositati in tribunale e certi post sui social media, che gli sforzi di Stein per essere sulla scheda in alcuni tati decisivi sono stati sostenuti da alleati di Trump.

Rivelatore anche che Stein abbia ricevuto l’appoggio politico dell’ex leader del Ku Klux Klan David Duke, appoggio che la campagna della candidata dei Verdi afferma di aver respinto perché non vuole avere “nulla a che fare con l’ex membro del Partito nazista americano”.

Duke, un suprematista bianco orgogliosamente antisemita, ha sostenuto Trump nel 2016 e nel 2020, ma nel suo programma radiofonico di martedì ha criticato la “sottomissione a Israele e alla lobby ebraica” da parte proprio di Trump affermando che solo Stein si opporrà a Israele e al suo”genocidio” contro i palestinesi.

In una intervista la settimana scorsa, Stein ha accusato il Partito Democratico di complicare appositamente l’accesso alle candidature: “Il sistema è complicato apposta, è fatto per non essere capito, per tenere i concorrenti fuori dalla gara, farli inciampare in una miriade di imprevisti”.

In Wisconsin comunque Stein non è l’unico rischio: gli elettori possono scegliere anche fra Chase Oliver, il teologo indipendente Cornel West, l’ex indipendete Robert F. Kennedy Jr., che ora sostiene Trump; il candidato del Constitution Party, Randall Terry, e Claudia De la Cruz, candidata del partito per il Socialismo e la Liberazione.

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