A Ferrara sono crollate le attività commerciali al dettaglio, fenomeno particolarmente accentuato nel centro storico. Stessa dinamica per i bar. I ristoranti, invece, dilagano, trasformando ormai il nostro Paese in una immensa pizzeria. In dodici anni, ha calcolato uno studio della Confcommercio nazionale, sono scomparsi in città 263 negozi. Un’enormità.
Nello specifico, il commercio al dettaglio è passato da 1.233 a 970 esercizi aperti, quindi 263 saracinesche si sono abbassate per sempre e non sono state rimpiazzate da nuove aperture. Anche dalle nostre parti si è in presenza della desertificazione che spinge i commercianti a chiedere interventi urgenti in favore dei negozi di vicinato.
Una prima valutazione dello studio (la desertificazione riguarda quasi tutte le città, e Ferrara non è tra le peggiori) arriva dal presidente nazionale della Confcommercio, Carlo Sangalli, il quale, al pari di tanti iscritti alla sua confederazione, non sembra essersi accorto della rivoluzione del commercio, che ha riempito le città di supermercati e che assiste quasi impotente al dilagare dei corrieri di Amazon. E che dire delle politiche pubbliche? Che cosa si fa per una gestione moderna e innovativa degli spazi e degli orari della città? Che cosa viene fatto per i quartieri? e che dire della vita di relazione e di comunità quasi inesistente? Il commercio, da che mondo è mondo, si sviluppa dove c’è vita sociale e di relazione, dove, per dirla terra-terra, c’è “movimento”. Si converrà che la tristezza di alcune periferie non è certo un buon viatico all’investimento.
Sangalli cita 5 strategie per superare la crisi, contemplate nel progetto Cities. «La desertificazione commerciale – afferma il numero uno di Confcommercio – minaccia vivibilità, sicurezza e coesione sociale delle nostre città. Occorre sostenere le attività di vicinato e il nostro progetto Cities punta a riqualificare le economie urbane con il contributo di istituzioni e imprese. Senza commercio di vicinato non c’è comunità».
Cities è articolato in cinque capitoli: rigenerazione dello spazio pubblico e dei quartieri (siamo chiari, è compito delle amministrazioni); mobilità e logistica sostenibili per la città della prossimità (non andrebbero per caso rivisti gli orari e i collegamenti della città?); patti locali per la riapertura dei negozi sfitti (un sogno che si infrange contro l’avidità dei proprietari degli immobili, si chiama rendita che nessuno in Italia pensa di arginare e contrastare, altro che economia dinamica); gestione partecipata e collettiva delle città (roba per comunisti insorgerebbero i finto-liberali spuntati come funghi negli ultimi decenni); e politiche per il commercio locale più efficaci grazie all’uso di tecnologie digitali (e che vuol dire?).
C’è un’ultima annotazione da fare: con l’introduzione dei dazi e la conseguente guerra commerciale aumenterà l’ inflazione e si abbasserà il potere d’acquisto di salari e stipendi. E oltre ai cittadini chi ne pagherà la conseguenze se non il commercio?