giovedì 21 Novembre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

IL BAVAGLIO DEL SENATORE

Che le maggioranze di governo siano infastidite dalla stampa e dalle sue inchieste, almeno quelle condotte dai pochi giornalisti con la schiena dritta, non è una novità. Basta assistere alla qualità degradata dell’informazione televisiva e cartacea odierna, per avere la prova dei giorni difficili che sta attraversando gran parte della stampa italiana.

L’attacco più diretto, che potrebbe risultare fatale per parecchie aziende editoriali, arriva con il disegno di legge numero 466 sulla “diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di diffusione” che affronta l’iter parlamentare per la quinta legislatura di seguito. La commissione Giustizia del Senato ha votato a maggioranza il testo base.

Il primo firmatario della legge è il senatore Alberto Balboni, l’uomo forte di Fratelli d’Italia a Ferrara. La legge viene mascherata, come spesso accade, come riforma, in realtà è il tentativo di mettere il bavaglio ai giornalisti, soprattutto quando si occupano del potere e degli uomini di potere. Il caso Report ne è la prova.

Ordine dei giornalisti e Federazione della Stampa non hanno lesinato forti critiche alle norme che il parlamentare ferrarese vorrebbe introdurre: “Così com’è formulato il testo base non tutela la libertà di informazione, rischiando di comprimere l’autonomia dei giornalisti e, dunque, il diritto dei cittadini a essere informati. Inoltre il ddl non assicura il corretto e doveroso bilanciamento dei principi costituzionalmente garantiti, quali la tutela della dignità della persona”.

Balboni con Giorgia Meloni

La legge Balboni, se approvata, inasprisce oltre ogni limite il problema delle querele-bavaglio nei confronti dei giornalisti, che vengono in gran parte archiviate o smentite dalle sentenze dei giudici. “Vorremmo che venissero apportati dei correttivi al ddl sulla diffamazione – afferma il Presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli- Siamo preoccupati per l’effetto raggelante che queste norme sulla diffamazione possono avere sull’informazione nel nostro Paese, rafforzandosi ulteriormente con l’utilizzo che viene fatto dello strumento della querela”.

Bartoli sottolinea due aspetti: il primo è l’assenza di serie norme di contrasto efficace alle querele bavaglio: “In Italia si fa molto uso delle querele per diffamazione, gran parte delle quali vengono archiviate; però c’è un effetto penalizzante nei confronti di chi le subisce”. Il secondo aspetto riguarda invece l’abolizione formale, ma significativa, della sanzione del carcere, che finalmente viene tolta: “Contestualmente vengono però inserite delle sanzioni incompatibili con il corretto esercizio della libertà di informazione ed espressione. Prevedere sanzioni che possono ammontare fino a 50mila euro significa, di fatto, consigliare a chi fa questo mestiere di cambiarlo”. L’Ordine non chiede l’impunità per giornalisti: “Chi sbaglia deve pagare, come qualsiasi altro cittadino, ma la pena deve essere paritaria a quella degli altri cittadini e le sanzioni pure”.

Afferma Alessandra Costante, segretaria nazionale dell’Fnsi: “Il testo del senatore Balboni è totalmente sbagliato e il peso che pone sulle spalle dei giornalisti non è accettabile. Scompare inoltre l’interesse preminente della collettività nei confronti dell’informazione. Le forze politiche avranno tempo fino all’8 novembre per presentare gli emendamenti alla normativa, in modo da non fare calare il buio sull’informazione italiana”.

Sulla questione dell’abolizione del carcere ai giornalisti,mi viene voglia di dire ‘ridateci il carcere’ di fronte a sanzioni spropositate come quelle dei 50mila euro. Il 70 per cento dei cronisti sono lavoratori autonomi e co.co.co; se la sanzione è questa, allora meglio non fare il giornalista”. Quanto al punto delle rettifiche “il media che ha pubblicato una notizia errata dovrebbe pubblicare una rettifica automatica, senza alcun intervento da parte del giornalista e/o del direttore. Il giornalista non può più difendersi nel foro rappresentato dalla sua testata. Il foro che farà fede sarà esclusivamente quello del querelante. E il querelato diverrà un ‘turista giudiziario’ andando di qui e di là nel caso, ad esempio, di più querelanti che risiedono in luoghi diversi”.

Sulle liti temerarie Costante rammenta che “sono almeno 10 anni che la categoria chiede la regolamentazione delle querele temerarie. In Sicilia oggi c’è un collega a cui è stato richiesto, in 24 ore, in due querele consecutive sullo stesso argomento, 1 milione di danni per bloccare la giusta campagna di stampa contro la malversazione di un ente operante nell’ambito del settore pubblico. Occorre fermare questo tipo di interventi. I giornalisti sono sempre meno liberi: c’e’ una voglia fortissima, che attraversa trasversalmente tutto il Parlamento, di rendere la stampa meno pericolosa. Quindi proporrò una mobilitazione in piazza per far sentire che la categoria è viva e far capire ai cittadini che il bavaglio alla stampa è anche un bavaglio alla loro consapevolezza di poter scegliere”.

E’ in atto una forte intimidazione -secondo Gianluca Amadori del Comitato esecutivo del Consiglio nazionale dell’ordine dei gioornalisti – per rendere sempre più difficile il lavoro giornalistico. Il ddl propone di estendere anche ai pubblicisti il segreto professionale (unico aspetto positivo del disegno), ma che sia un segreto vero, totale, che consenta a giornalisti di tutelare le proprie fonti. Il ddl introduce anche novità sull’informazione online: l’obbligo di rimozione dei contenuti diffamatori, che è corretto, ma solo dopo l’accertamento che il contenuto è realmente diffamatorio, a seguito di una sentenza passata in giudicato, non prima”.

La situazione è chiara -dice Vittorio Di Trapani, presidente della Fnsi- Riguarda tutti quelli che fanno questa professione, ma soprattutto riguarda tutti i cittadini. Non è un tema sindacale, ma qui ci vuole lo stesso unità di categoria, specie in questo momento. La relazione sullo stato di diritto 2023 della Commissione Europea mette in luce che le querele bavaglio, le liti temerarie, le fonti non abbastanza tutelate, il bavaglio alla stampa sono i nostri limiti. Siamo al quarantunesimo posto perché i veri problemi non vengono affrontati. La questione è l’articolo 21 della Costituzione, che parla dell’interesse pubblico a sapere, ancora oggi con numerosi mezzi ostacolato”. (PdA in collaborazione con professionereporter.eu)

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