Le elezioni, banale ripeterlo, dovrebbero essere la migliore e più nobile occasione per prendere impegni, ovviamente da mantenere, con i cittadini. Purtroppo, l’abbondanza di proclami, di propaganda spacciata per tavole della legge, di frasi ad effetto che svolazzano come droni sopra le nostre teste, finisce con il riversarsi inevitabilmente sulla campagna elettorale e sui social con l’inconfessato obiettivo di rendere i fatti vaghi e confusi.
E’ fin troppo evidente che il sempre maggior numero di elettori che se ne stanno alla larga dalle urne è la dimostrazione più lampante di come ciarlatani, affabulatori, politici di mezza tacca, arruffapopoli e demagoghi, non esitano a far ricorso a queste leve della strategia comunicativa per far distogliere l’attenzione e lo sguardo dalle vere soluzioni, che, è bene rimarcarlo con nettezza, non sono poi solo quelle securitarie.
Ecco perché la primavera pre-elettorale di Ferrara che ci accompagnerà fino all’8 e 9 giugno non dovrà essere annoverata come l’ennesima occasione persa, ma un atteso appuntamento con il cambiamento, perché quel treno sta passando velocemente e sarebbe pleonastico a questo punto ricordare il ruolo che spetta ai cittadini, e non, si badi bene, soltanto alla politica. Le elezioni sono un momento speciale nella vita di una comunità. I cittadini di buona volontà e le persone perbene dovrebbero salire a bordo di quel treno e cogliere gli aspetti più urgenti e importanti da affrontare e risolvere nei prossimi cinque anni.
Il tutto a un prezzo molto sostenibile se dedichiamo una minima parte del tempo a riflettere su che città si vuole e su quali basi edificarla. Il voto dell’8 e 9 giugno impone un’unica strategia in cui racchiudere le altre: ri-creare una rete sociale che l’indifferenza e la solitudine hanno messo in disparte, divenendo perdippiù le cattive consigliere della domanda politica.
E’ sufficiente ricordare, e tra poco il racconto di Barbara ce lo dimostrerà, che le città sono nate e si sono sviluppate attorno a un concetto semplice-semplice che accompagnava e interpretava la quotidianità: il vicinato. E’ attorno a un nucleo di persone, abitazioni, laboratori artigiani, che sono fiorite le città. Che cos’è la parola borghese se non una derivazione di borgo? Oggi, purtroppo, la borghesia, nella sua declinazione illuminata e progressista, è quasi del tutto scomparsa, compressi come siamo tra “razze padrone” e “mentalità abborracciate e plebee”. Dimostrarlo non serve, è l’evidenza.
La paura, l’insicurezza, il bisogno insoddisfatto di tranquillità (oggi la sociologia moderna azzarda il termine di “intranquillità”) ci ha relegati in un angolo delle nostre “splendide solitudini”, costretti ad assorbire – a tutte le ore e a ritmo incessante – le “realtà virtuali e interessate” che i demagoghi e gli arruffapopoli di cui sopra tentano di inculcare come verità assolute nelle nostre incertezze. Spesso riuscendoci.
Siamo rinchiusi nei nostri appartamenti simili a scatole sapendo a malapena come si chiama il nostro vicino, di cui non ci sfugge però la sua tendenza serale a disturbare la nostra quiete, il nostro tranquiillo, e spesso noioso, tran tran. Capita di incontrare da anni sotto casa le stesse persone del quartiere, ma non abbozziamo neanche un sorriso, un saluto, un cenno amichevole.
Quante volte, dopo un sanguinoso fatto di cronaca, capita di sentire i vicini descrivere l’uomo della strage come “una persona tranquilla”? Anzi, una persona normale, ma che dico, normalissima? Come se chi ha in mente di compiere atti riprovevoli e violenti lo annunci a tutto il quartiere. Quante violenze sulle donne si sono infrante sulla distrazione, sull’indifferenza e sul silenzio di chi sceglie di farsi i fatti suoi?
La rete sociale è talmente sfilacciata che passano in silenzio tutti i fenomeni che toccano il nostro mondo e che ci allarmano: i furti, le violenze, i vandalismi, il bullismo… Determinano però opinioni. Ci fanno chiedere più sicurezza, più polizia, più controlli, più telecamere… più di tutto.
Si arriva così a uno dei temi più cari alla Destra: la sicurezza. Il monopolio che sembra avere al riguardo è una continua richiesta di “più agenti di polizia, più carabinieri, più soldati a presidiare i punti nevralgici della città”, insomma più angeli custodi del nostro bisogno di sicurezza.
A Ferrara, non da oggi, è diventato il ritornello dell’azione amministrativa che punta a rassicurare la comunità chiamando l’esercito che potrà sì controllare, sì, una piazza, un quartiere, ma non tutta la città, nello stesso momento. Ecco quindi che il racconto di Barbara Paron ci farà capire di cosa ha veramente bisogno Ferrara, mettendo una buona volta da parte i ciarlatani e i demagoghi della sicurezza. Scrive:
— Ferrara, martedì 26 marzo 2024. Attenzione, a tutti coloro che abitano nella zona Centoversuri /mercato coperto!!! Un uomo è appena entrato nel mio condominio spacciandosi per una persona che si occupa di derattizzazione. Purtroppo mia madre ( che è anziana e non abita qui ma in Friuli) gli ha aperto pensando che lo avesse chiamato uno dei condomini.
Fortunatamente nel mio condominio siamo tutti amici e costantemente in contatto e così ho potuto allertare chi era in casa che è sceso subito, giusto in tempo per verificare che questa persona, dopo aver esplorato la casa e le cantine, se ne sia andato (purtroppo) indisturbato.
Abbiamo verificato che nessuno ha chiamato per la derattizzazione quindi potrebbe essere qualcuno che stava esplorando la zona in vista delle vacanze Pasquali.
Sappiamo che problemi come criminalità e spaccio non sono ancora stati risolti, addirittura in questa città, pur di far credere il contrario, sono stati semplicemente spostati dalla zona del Gad al centro storico.
Se, invece di spendere tanti soldi pubblici in militari parcheggiati davanti alla stazione a far nulla (cosa che è anche svilente per loro che sono addestrati per altro) promuovessimo e valorizzassimo la sicurezza partecipata cioè esattamente quello che abbiamo fatto noi condomini, con spirito civico, di cooperazione e di aiuto reciproco, cosa che fanno anche altri, probabilmente il fenomeno verrebbe aggredito nel merito e probabilmente in buona parte risolto.
Se poi aggiungiamo anche la componente di presa in carico di tutte quelle situazioni che derivano dall’isolamento, dalla solitudine, dalla povertà di tante fasce della popolazione, avremmo anche fatto qualcosa di positivo per la società, per la sua crescita e prosperità. Mia madre oggi ha imparato che anche quando le cose le sai, puoi fare degli errori di distrazione di cui è bene tenere conto, ma ha anche capito che nel nostro condominio non è mai sola e per una persona anziana, seppur ancora bellissima (non si sa mai che legga questo post) questo è il valore più grande.
Se fai credere alle persone che la soluzione dei loro problemi deve essere delegata solo all’esterno (sicurezza, ambiente, salute…) otterrai una comunità fragile e insicura perché ognuno di noi sa che questo non è possibile. La soluzione è la società! ovvero la cooperazione, l’agire per il bene comune, il rispetto reciproco, il prendersi cura dei propri vicini, degli spazi comuni anche dei beni altrui.
Mi ricordo che a Vigarano un giorno sono andata ad un matrimonio lasciando la porta del garage spalancata. La mia vicina è rimasta tutto il pomeriggio a vigilare perché non aveva il coraggio di entrare nel mio giardino a chiuderla per rispetto della mia proprietà (per dire fino a che punto arriva il rispetto).
Sempre a Vigarano c’era una persona meravigliosa, Giuliana, che teneva sotto controllo tutti i figli degli altri, tutti i ragazzini che giravano per il paese e che sapevano di non poter sfuggire al suo sguardo attento e inibitore, ma anche alla certezza che lei avrebbe riportato per filo e per segno ogni loro mossa ai rispettivi genitori. Quindi: rigare dritto perché lei girava ovunque. Se poi un ragazzino dalla lingua lunga aveva il coraggio di dirle qualcosa, lei rispondeva che non era una ficcanaso, ma che sua madre le dava 5 euro per questa informazione . Questa è una società civile. (Barbara Paron)