C’è una specie di sonnifero he aleggia nell’aria a Ferrara che fa addormentare gran parte del sistema dell’informazione, quanto mai indispensabile a poche settimane dal voto per le comunali.
Al di là dei festosi appuntamenti della giunta uscente, roba da centrodestra dello spritz, e di un’esagerata esposizione di cartelloni stradali in qualsiasi punto della città da risultare francamente indigesta, non esiste, o quantomeno è assai carente, un’attenta osservazione e discussione su quanto fatto di discutibile da questa amministrazione. Molta propaganda, molte energie spese nel dare ai ferraresi concerti e saghe, nell’ullusione di poter dispensare gioia e soddisfazione.
Invece, a leggere certi documenti, viene da chiedersi che città è mai diventata Ferrara, un tempo nobile centro della cultura e del Rinascimento.
Una cosa particolamente odiosa perché cinica ci viene rivelata da un episodio risalente al periodo drammatico del Covid, quando l’Italia e il mondo restarono scioccati dal corteo delle bare da Bergamo sui mezzi dell’esercito. Il sindaco Alan Fabbri si mostrò in prima fila nel ricevere le salme di quell’immane tragedia, salvo poi, al momento della cremazioone battere cassa, ma a prezzi raddoppiati rispetto alla più mite Padova: 563,47 euro a cremazione contro i 240 di altri centri che decisero di propendere per costi agevolati. L’indignazione arrivò perfino dal ministro Roberto Calderoli che scrisse: “Non c’è limite alla vergogna”, dimenticando che la generosità della città di Ferrara si manifestava soltanto sulle tariffe, quelle sì generose, applicate da un sindaco che faceva parte della compagnia leghista.
Grande generosità, grande incasso. Ma una domanda si fa strada: come sono stati utilizzati quei fondi? Scavando scavando si potrebbe scoprire che a beneficiarne sarebbero stati stati i soliti privati, gente che vince sempre perché si trova sempre al posto giusto della storia, spesso., a Ferrara, a braccetto con gli amministratori della generosa era leghista.