di Piero Di Antonio
— Non illudetevi, non illudiamoci: povertà e degrado non ci sfiorano molto, passano sopra le nostre teste come l’acqua del torrente sulla pietra levigata. Se qualcuno nota un sacco della spazzatura gettato in strada, a Ferrara come in qualsiasi altra città italiana, scatta un moto di indignazione. Teniamo pulita la città, si sente dire, accompagnato da espressioni di disgusto.
Ma se quei sacchi sono persone in carne e ossa, viventi, – con tutto il bagaglio di malanni, sventure e, diciamolo, di manchevolezze personali che si portano appresso, coperti non di abiti ma di stracci recuperati in qualche cassonetto della Caritas – non parte in automatico l’indignazione, il bisogno di capire e di prestare attenzione.
Si reagisce con un’alzata di spalle: chissà perché si sono ridotti in questo stato? che cosa di male avranno fatto nella vita per ritrovarsi a dormire per terra, di sera, al freddo che punge, coperti da giornali e cartoni perché non si hanno coperte di lana.
Siamo sottozero. Non è il freddo invernale che ci preoccupa, ma quello che da sempre è sceso nei nostri animi di persone sazie e soddisfatte. E il benessere dell’Occidente che ha introiettato dentro di noi una Calcutta, una qualsiasi periferia di Khartoum o dell’irresistibile America che a qualsiasi ora va forte come un treno, ma che non si ferma mai a guardare quei barboni che, nella società del dollaro e del successo, non ce l’hanno fatta.
Ferrara, ieri sera, ci ha svegliato con un’immagine che tocca il nostro cuore: l’ha inviata in Rete una cittadina mossa ancora dalla sensibilità verso gli altri, che da anni combatte il degrado e l’indifferenza: due persone, non alcoliste, non prigioniere di stupefacenti che dormivano per strada, in Piazza Beretta, sotto il portico dell’ufficio comunale dell’anagrafe. A quell’ora la temperatura era a -2 gradi.
Sono due persone che tirano a far mattina così come possono o il segnale che qualcosa di preoccupante sta avanzando nella nostra società e “nella felice Ferrara (sic)” proiettata al consumo, alle giostre, ai tornelli dei concerti e alle ole dei fan, alle offerte dei supermercati, ai carrelli pieni e alle cose inutili fatte diventare necessarie nonostante fossero costose?
Questo ci dice la foto, questo lo spettacolo in una piazza che come hotel con vista sulla città propone un portico come tetto, pareti en plein air, una bottiglietta d’acqua, poi l’indigenza, la povertà, il non avere nulla e starsene in silenzio. Non avere niente è, per una società che intorno ha molto se non tutto, una colpa.
“Non si è mai visto un degrado sociale così ” scrive la ciittadina che si interroga anche sul cosa fare. “Una cosa del genere non bisognerebbe mai permetterla”. Quella coppia di senzatetto avrà di sicuro accusato dei problemi, gravi problemi. Non averli affrontati diventa il dolo e la punizione che la portano a dormire sotto il portico, coperto da stracci e cartoni. Magari è stata una malattia improvvisa, una debolezza sempre in agguato nella psiche umana, una manchevolezza. Errori, certo. E allora che facciamo? Addossiamo loro anche le nostre aggravanti: indifferenza, dileggio, cinismo?
No, fermiamoci. Il tutto sta nella logica imperante dei tempi nuovi. Sta in quella straordinaria e toccante lettera che Dario ha inviato a un giornale. In sintesi: “Oggi, davanti a un discount, ho trovato mia mamma che chiedeva l’elemosina (…) Mentre le chiedevo come mai fosse lì e dopo averle chiesto il permesso l’ho baciata e abbracciata perché era intirizzita dal freddo. Mi ha detto: ho un figlio che soffre di crisi epilettiche e non può aiutarmi, anzi avrebbe bisogno d’aiuto, a me hanno chiuso l’acqua. Sto da un’amica, che sta peggio di me, ma che ha di che lavarsi.
La signora Luisa stava in un angolo, dignitosa, ben vestita (i migliori che ha) con una borsa e sembrava aspettare qualcuno. Dice che percepisce una pensione attorno ai 500 euro. Le ho dato, con un amico, dei soldi (…) Ho pensato a mia mamma che si chiamava Giannina: mi sono detto, Luisa è come lei, dignitosa, buona, gentile e mi domando: ma davvero mia madre dopo una vita dignitosa dovrebbe chiedere l’elemosina?
Se è così, dov’è l’Italia? Chiede Dario.
Forse sta in quella Londra di alcuni anni fa. Non la Londra dell’elegantissimo miglio quadrato dove si concentrano con pochi clic scandalose ricchezze da tutto il mondo. Ma in quei luoghi dove, come in Piazza Beretta ieri sera a Ferrara, stazionano e dormono all’aperto i senzatetto, un esercito. Il capo della polizia, mosso forse da umana pietà, propose a Margaret Thatcher un piano per assicurare un riparo a quei barboni.
Mal gliene incolse: la Lady di Ferro – di ferro con i deboli, con ricchi e potenti, invece, sorridente e disponibile – lo bloccò in un secondo: no, restino dove sono. Saranno una lezione per i passanti, saranno l’immagine del destino che attende coloro che non si adeguano al nostro modo di agire e di governare, ai nostri valori ultraliberisti.
La generosità e l’attenzione per chi non ce l’ha fatta, quindi, sono un lusso, che di solito va riservato a chi ha già, e parecchio. Il barbone diventa sulle vie dello shopping uno spot per mettere sull’avviso i probi e i bravi. Ecco che cosa rischiate cari concittadini, voleva dire la Lady di Ferro. Il modello comunicativo era quell’esercito che dormiva per strada, lo spot più efficace per far ritirare tutti nel piccolo mondo di egoismi e di piccoli calcoli e tornaconti.
A questo punto è lecito chiedersi: che cosa trarre da questo modo di pensare e di agire? Nulla di buono, poiché quando non si tenta di fare qualcosa per gli ultimi, con la beneficenza non sufficiente, vuol dire che siamo già caduti nell’indifferenza. Siamo già approdati alla feroce ideologia della “povertà educativa”.
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