Il 13 gennaio 1898, sul giornale L’Aurore, il grande scrittore francese pubblicò il suo “J’accuse…! articolo in forma di lettera aperta al presidente francese Fèlix Faure con cui denunciò “i nemici della verità e della giustizia” ossia i persecutori di Alfred Dreyfus.
Io accuso…! Quante volte l’abbiamo letto e sentito pronunciare dinanzi a casi eclatanti e scandalosi di ingiustizie, soprusi, sopraffazioni e, spesso, dinanzi ad atti criminali come stragi e ammazzamenti… Chi non ricorda Pier Paolo Pasolini con il suo “Cos’è questo golpe? Io so…” pubblicato sul Corriere della Sera? Un incipit straordinario, coraggioso e sincero di una disperata invettiva attuale anche oggi, a quasi mezzo secolo di distanza…
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974… e via un lungo e tristissimo elenco di inquietanti e irrisolti misfatti italiani. Con un finale altrettanto inquietante: io so, ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Ma il precursore di tutti e di tutto è stato Emila Zola. 125 anni fa, era il 13 gennaio 1898, sul giornale socialista L’Aurore, il grande scrittore francese pubblicò il suo “J’accuse…! articolo in forma di lettera aperta al presidente francese Fèlix Faure con cui denunciò “i nemici della verità e della giustizia” ossia i persecutori di Alfred Dreyfus, l’ufficiale di origine ebraica condannato per alto tradimento (accusato ingiustamente di aver passato informazioni alla nemica Germania) dopo un processo farsa basato su prove e documenti falsi, manipolati o falsificati – e deportato a vita nell’Isola del Diavolo, nella Guyana francese. La vicenda provocò un’ondata di antisemitismo in tutta la Francia.
A differenza di Pasolini, però, Zola i nomi dei responsabili li fece tutti: alti gradi dell’esercito, periti e altri pezzi grossi. Denunciò senza mezzi termini la macchinazione contro l’ufficiale ebreo, scrisse di un processo falso basato su prove false. Zola fu condannato a un anno di carcere e a tremila franchi di ammenda per vilipendio delle forze armate. L’articolo comunque face riaprire il caso. La situazione si risolse soltanto nel 1906 quando Zola era già morto da quasi quattro anni, e quando la Cassazione revocò la sentenza con cui Dreyfus era stato accusato anni addietro di tradimento. Il capitano fu reintegrato nell’esercito.
Sono passati 125 anni da allora, ma l’atto di coraggio di Zola non può non accostarci ai tanti misteri che ancora avvolgono la storia italiana, con i depistaggi, le macchinazioni e i silenzi che hanno eretto un muro tra noi e la verità e giustizia. E senza che ci sia un Emile Zola a lanciare il suo J’accuse…!
Piero Di Antonio