Una notizia pubblicata dal New York Times ha gelato per parecchie ore la Washington della politica, e non solo: la Russia di Putin starebbe lavorando a un’arma nucleare antisatellite. Il che rappresenterebbe una minaccia molto seria alla sicurezza del mondo, aprirebbe la strada alle guerre stellari di cui finora si parlava come ipotesi fantascientifica. Per questo motivo il capo della Commissione Intelligence della Camera Usa, Mike Turner, ha chiesto al Presidente Biden di “declassificare tutte le informazioni relative a questa minaccia in modo da discutere con gli alleati azioni mirate di risposta”.
La militarizzazione dello spazio da parte della Russia: sarebbe questa, stando ai media Usa, “la seria minaccia alla sicurezza nazionale”. Secondo il New York Times, gli Usa hanno riferito al Congresso e ai loro alleati in Europa nuove informazioni di Intelligence su capacità nucleari russe che potrebbero rappresentare una seria minaccia internazionale, anche se non urgente perché tali capacità sono ancora in fase di sviluppo e non sono state dispiegate.
Le nuove informazioni sono collegate ai tentativi di Mosca di sviluppare un’arma nucleare antisatellite nello spazio, uno scenario da ‘Star Wars’. In precedenza un politico aveva indicato tra le ipotesi principali il missile ipersonico 3 M22 Zirkon, che ha una gittata tra 400 e 1.000 chilometri, e può volare a una velocità fino a 9.800 Km/H (MACH 8) eludendo i sistemi di difesa e colpendo obiettivi navali e di terra.
Finora soltanto Mosca ha già a sua disposizione questi vettori, che negli Usa sono ancora in fase sperimentale. Entrato in servizio lo scorso anno a bordo della fregata russa Admiral Golovko, lo Zirkon è stato sviluppato in risposta al ritiro Usa dal trattato Abm sui missili balistici e sarebbe stato usato la prima volta il 7 febbraio scorso in Ucraina.
“Chiederò che il Presidente Joe Biden declassifichi tutte le informazioni riguardanti questa minaccia in modo che il Congresso, l’amministrazione e tutti i nostri alleati possano discutere apertamente le azioni necessarie per rispondere a questa minaccia”, ha scritto Turner su X. Per alcune ore è calato il gelo a Washington e in tutto il paese, sprofondato in una surreale psicosi da pericolo immediato che spaziava dal terrorismo a inediti scenari di guerra.
IL CLUB DELLA BOMBA
L’ITALIA, in quanto membro della Nato, ospita diverse bombe atomiche appartenenti agli Stati Uniti. La decisione è stata presa all’interno del programma di condivisione della deterrenza nucleare stabilito dall’Alleanza Atlantica. Gli ordigni nucleari rappresentano, infatti, la componente principale della deterrenza e della difesa dei paesi della Nato.
L’utilizzo del nucleare è una remota possibilità che verrebbe approvata solamente nel caso in cui la sicurezza di un Paese membro dovesse risultare gravemente compromessa. E’ un sistema di valutazione dei benefici e dei costi quello su cui fa leva l’uso delle bombe atomiche. Per quanto riguarda il numero di ordigni presenti in Italia, la Nato non ha mai indicato chiaramente la quantità precisa. Si stima un numero di unità compreso tra 70 e 90.
Con maggior precisione si conoscono le posizioni degli ordigni nucleari nel nostro Paese. Le basi sono quelle di Aviano vicino Pordenone e Ghedi, vicino Brescia. Pur trovandosi su suolo italiano, la proprietà e la gestione delle armi è di competenza esclusiva di Washington. L’Italia non potrebbe in alcun caso utilizzarle. L’unico compito che detiene la nazione ospitante è di fornire supporto militare con aerei a duplice capacità, in grado di trasportare sia le armi convenzionali che le bombe nucleari
Nove nazioni in tutto il mondo possiedono oltre 15.000 testate nucleari nei loro arsenali. Ma Russia e Stati Uniti assieme, contano da soli il 93% del totale. A fare i conti il Nuclear Notebook della Federation of American Scientists (Fas). L’ultimo rapporto è datato al 2016, ma i numeri sono ancora impressionanti: “1.800 testate nucleari pronte ad essere lanciate con un breve preavviso”. Il mistero sull’arsenale nucleare cinese.
“Nonostante gli enormi progressi nel ridurre gli arsenali nucleari della Guerra Fredda, la riserva complessiva di testate atomiche resta a un livello molto elevato: circa 15.350 testate agli inizi del 2016″ – sottolinea il rapporto – “di queste piu’ di 10 mila si trovano nelle scorte militari (le altre sono in attesa di smantellamento), 4.200 delle quali schierate con le forze operative”. Di queste 4.200 “ben 1.800 sono pronte a essere lanciate con un breve preavviso”.
Ma il numero esatto delle bombe nucleari in possesso di ogni Paese resta un segreto di Stato, gli scienziati della Fas elaborano le loro stime basandosi solo sulle informazioni disponibili al pubblico. Russia, Usa e Regno Unito, sono state le prime tre potenze nucleari a sottoscrivere il trattato di non proliferazione del 1 luglio 1968, e continuano a ridurre gli arsenali – sia pure a ritmi più lenti rispetto a 25 anni fa – mentre Francia e Israele mantengono riserve stabili.
Preoccupazioni dall’Asia. A preoccupare sono però Cina, Pakistan, India e Nord Corea, quattro paesi che continuano ad accrescere il loro potenziale distruttivo. E tre di loro non hanno nemmeno mai firmato il trattato. Il fantasma di Hiroshima è destinato ad aggirarsi per il mondo ancora a lungo.
LA CORSA AGLI ARMAMENTI NUCLEARI. Tra i firmatari dell’accordo di non proliferazione del 1968 tra Russia Regno Unito e Stati Uniti, gli americani sono stati il primo paese al mondo ad effettuare un test nucleare (“Trinity”, alle 5.30 del mattino del 16 luglio 1945) ed il primo paese (e l’ultimo) ad utilizzarlo sul nemico in guerra, distruggendo le città di Hiroshima e Nagasaki il mese successivo.
La Russia si doterà però della stessa tecnologia quattro anni dopo, lanciando una corsa agli armamenti che trascineranno anche Washington, a costruire circa 70 mila testate, più di tutte quelle prodotte da tutti gli altri stati messi insieme.
Anche in Italia gli arsenali nucleari. Gli Usa sono stati, nel 1952, i primi a testare una bomba all’idrogeno: la “Ivy Mike”. Negli arsenali americani giacciono al momento 4.500 testate, 1.500 delle quali in attesa di dismissione. Le testate pronte al lancio sono invece circa 2.300, alcune delle quali schierate nelle basi militari stanziate in paesi stranieri, tra i quali l’Italia. Il conto totale è’ quindi di poco meno di 7 mila testate, a fronte del picco di 31.175 registrato nel 1966.
Diversa la “storia atomica” della Russia: il primo esperimento dell’allora Urss, Unione Sovietica, è del 1949: ma non riuscendo a giungere prima degli americani, i russi possono vantarsi di aver fatto detonare l’ordigno più devastante a memoria d’uomo: la cosiddetta “Tsar Bomba”: fatta esplodere nel 1955 ad una potenza di 50 megatoni (la metà di quella effettiva, alla quale sarebbe stato generato troppo pulviscolo nucleare).
L’Unione Sovietica ha costruito in totale 55mila testate dall’inizio del suo programma, mantenendone un massimo di 45 mila nel 1986. Al momento gli arsenali russi sono i più forniti del mondo, con 7.300 testate: 2800 pronte al lancio e 4.500 stoccate (con 1.790 in attesa di dismissione).
Il terzo Paese al mondo a dotarsi di armi nucleari dopo Usa e Russia, è il Regno Unito, che aveva in realtà collaborato con Washington al “Progetto Manhattan”, che diede vita all’ordigno che segnò le sorti del secondo conflitto mondiale. Ma Londra in seguito sviluppò un suo programma – avviato nel 1952 con il primo test – a cui farà seguito nel 1957 l’Operazione “Grapple”, con la detonazione della prima bomba all’idrogeno britannica. Nel 2007 e’ stato avviato un piano di ammodernamento dell’arsenale destinato a concludersi nel 2024.
Anche la Francia è entrata “club nucleare” – ma solo nel 1960 – con il test nucleare “Gerboise Bleue”. Come nel caso di Londra, la motivazione stava nella volontà di mantenere un rango di potenza mondiale nonostante il drastico ridimensionamento geopolitico sancito dalla crisi di Suez. Teatro dei 179 esperimenti nucleari effettuati dalla Francia dal 1966 al 1996 fu l’apollo polinesiano di Mururoa (nella foto), salito all’onore delle cronache soprattutto nel ’95 quando, appena un mese dopo l’insediamento, il presidente Jacques Chirac dispose il riavvio dei test dopo la moratoria imposta dal predecessore Miterrand. Con 300 testate, la “force de frappe” transalpina rimarrebbe comunque la terza al mondo. Parigi ha firmato il trattato di non proliferazione nel 1992.
Ultimo degli attuali membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu a dotarsi della bomba nucleare, Pechino può vantare un record: il minor arco di tempo in assoluto dal primo test nucleare, avvenuto nel 1964, alla prima bomba a idrogeno, appena 32 mesi dopo. Difficilissimo calcolare l’ammontare dell’arsenale, stimato sui 260 ordigni.
Secondo alcuni esperti, però, il materiale sviluppato dal Dragone potrebbe avergli garantito uno stock di 400 testate. Anche per la Cina la firma del trattato di non proliferazione è arrivata solo nel 1992. (In collaborazione con RaiNews)