di Piero Di Antonio
— Sentite questa: da giorni non si fa altro che ripetere, ormai è uno sfinimento, che i laburisti inglesi hanno vinto le elezioni con un programma di Centro. Insomma, tutti si sposterebbero al Centro, il forziere delle virtù moderate, perché ormai la sinistra in qualsiasi sua declinazione da terzo millennio è diventata il fantasma che si aggira sull’Europa, spaventandola, a meno che non servano i suoi voti per impedire brutte e pericolose derive autoritarie.
Il Centro (in maiuscolo per attribuirgli una libbra di dignità) è, se ci fate caso, il mantra di una persistente inconsistenza e superficialità tutte italiane, tanto che gli elettori più avvertiti, adusi a informarsi al sentire, questa parola fanno spallucce e non si accorgono nemmeno che esista sulla scheda elettorale.
L’ultimo supplizio – a parte l’autolesionismo quotidiano nell’acquistare giornali con pomposi editoriali sulle sorti magnifiche e progressive del Centro – risale a poche ore fa, sulla Rai, in ore notturne in cui si fanno i bilanci della giornata e parecchi ospiti (ma dove li pescano?) si avventurano in giudizi e considerazioni che neanche al Bar Sport.
A far scattare la molla dello scrivere, un incompetente che per vari minuti ha ripetuto questa valutazione sulla politica inglese: hanno vinto i laburisti di centro. Poche ore prima, Re Carlo III aveva esposto a Westminster, con tanto di pesante corona in testa, il programma del nuovo governo laburista guidato da Keir Starmer, che per inciso ha già cancellato il decreto del forzato trasferimento degli immigrati clandestini in Ruanda.
Quaranta e più pagine dove, senza tanti giri di parole, si indicava ciò che farà nei prossimi mesi e anni il governo (e da quelle parti i politici sono soliti dire ciò che faranno per poi fare ciò che è stato detto): trasformazione green, rinazionalizzazione delle disastrate ferrovie e riforma della sanità pubblica. Accipicchia, un vero programma di Centro.
Trasferite questi tre punti in Italia e azzardatevi a definirli di Centro, vi riderebbero in faccia perfino i vostri amici più cari. Vi accuserebbero, i megafoni della Destra, di essere pericolosi comunisti.
Spostiamoci in Francia, dove il Nuovo Fronte Popolare si è imposto alle legislative. A trainare la coalizione è stata La France Insoumise di Melenchon, descritto dai media che spradoneggiano nell’informazione, come un invasato, un estremistra che non può in alcun modo governare un grande Paese europeo. Stessi concetti vengono espressi dai suoi colleghi di coalizione, anche loro attratti dal Centro e quindi restii a formare un governo con la sinistra-sinistra. I voti per fermare la Destra lepenista erano buoni, ma per fare un governo no. Ma Melenchon si è impuntato e lo spostamento al Centro, per ora, si è fermato.
A ben riflettere, la sinistra francese, come i “centristi” del Labour Party, ha avuto un ottimo risultato proprio perché ha fatto proposte economiche di sinistra. Sembra un’osservazione banale ma non lo è affatto. “Il programma economico dei progressisti – ha scritto il professor Mario Pomini, docente di economia all’Università di Padova – è lontano anni luce da quello del Pd di Enrico Letta, ma fortunatamente non da quello dei progressisti di oggi, nettamente orientato a riequilibrare la distribuzione del reddito troppo a favore dei privilegiati”. Il tema “rivoluzionario” dei nostri tempi è proprio il riequilibrio.
Un primo provvedimento è la proposta di un aumento sostanzioso del salario minimo orario, ora a 11,5 euro lordi. L’idea è quella di portarlo dai 1.383 netti al mese di oggi a 1.600 euro netti. Una seconda misura è la riforma delle pensioni. Il progetto, costosissimo, prevede il ritorno alla normativa precedente, in pensione a 60 anni. Il terzo intervento è il blocco dei prezzi di prima necessità. Qui c’è poco da commentare. La misura propone di difendere il potere di acquisto dei ceti meno abbienti falcidiato dall’inflazione.
Ma dove prendere tutti questi soldi? Aumentando le tasse. Ma a chi? E quanto? Le nuove tasse devono colpire i privilegiati del capitalismo odierno, azionisti e finanza in primis, e a riversare le risorse sui comuni cittadini. Una prima proposta vuole introdurre una tassa sugli extra profitti (in Italia abbiamo visto com’è andata a finire: incassi per lo Stato, zero). Una seconda proposta mira ad aumentare l’aliquota sulle transazioni finanziarie dallo 0,3% allo 0,5%. Anche qui, una sana regola per impedire i funambolici giri di titoli che ingrassano le finanziarie di vario tipo. Infine l’eliminazione della tassa piatta (flat tax) sulle rendite finanziarie per renderla progressiva. Oggi chi vive di finanza è un privilegiato del fisco, anche in Italia.
Quindi, in Francia non ha vinto il Centro, è stata una vittoria di squadra in cui uno dei giocatori più rappresentativi era di sinistra. Determinanti i giovani delle periferie, delle banlieu, gli studenti e i dimenticati dalle politiche macroniane con le porte sempre ai ricchi e ai privilegiati. Ora, immaginatevi un governo senza la sinistra: Parigi andrebbe a fuoco e a spegnerlo, tra qualche anno, sarà di sicuro la Destra dura e pura. Il Centro non è in grado di farlo perché non ha consistenza.
E’ bene che il commento su ciò che sta avvenendo in Europa tenga conto di un fatto: la sinistra non è quella disegnata da un’informazione legata ai poteri inossidabili della finanza e della grandi imprese; porta avanti rivendicazioni di base, di dignitosa sopravvivenza. Non è la rivoluzione d’ottobre, tantomeno quella francese che tagliava le teste. Quella che vince e che non deve perciò intimorire ha gli occhi che guardano in basso, verso gli ultimi e i penultimi, dove sono stati costretti da quella grande illusione politica che va sotto il nome di Centro. Il Centro non esiste. Le soluzioni dei problemi, alcuni drammatici e impellenti, si trovano a sinistra, il progresso di tutti, o a destra, lo status quo che non tocca odiosi privilegi. Al centro sono appostati i furbi, coloro che vorrebbero vincere sempre: gli opportunisti.