Politica, scuola, famiglie e popolo: per una Bologna e un mondo più vivibili serve l’impegno di tutti. Cosa può fare la formazione? Se ne è discusso in un convegno al Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Alma Mater. Se coloro che siedono tra i banchi vedranno i loro insegnanti come i professori di Amarcord di Fellini, oggi, più di ieri, il piano educativo scivolerà sempre di più sui domini informali (podcast, social, fumetti, web) con rischi molto forti per la dimensione collettiva.
di Cristian Tracà *
Venerdì e sabato si è svolto a Bologna nel Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Alma Mater il convegno nazionale della Sipeges, la Società italiana di pedagogia generale e sociale. Al centro della discussione il ruolo che avrà l’educazione e chi lavora nell’ambito pedagogico nella società del domani, davanti a sfide molto forti per la tenuta sociale e parallelamente all’evoluzione delle normative sulla professione dell’educatore.
Visto l’allarme scattato in questi giorni, credo sia interessante raccontare ai lettori e alle lettrici di Cantiere quali temi sono stati sollevati e che cosa è emerso, visto che il tema è sempre più di attualità dopo che l’ennesimo report negativo sulle competenze di base degli Italiani ha ancora una volta innescato un effetto domino di pensieri sulla Scuola, l’istruzione permanente, la formazione.
Scarse abilità di comprensione dei testi e di calcolo, ma anche una cultura generale lacunosa. Immediatamente è scattata sui giornali la corsa alla ricerca dell’antidoto, ma soprattutto la caccia al responsabile. Spesso però nel solco di approcci tradizionali alla cultura e all’istruzione che hanno segnato abbondantemente il passo.
I genitori, i nonni, gli zii, le maestre delle elementari, la scuola dell’infanzia, i cellulari, le medie, la dispersione, i tablet, le promozioni facili, le bocciature come ai tempi di Don Milani, il Pcto, l’aziendalizzazione della scuola, le classi pollaio, i temi, i riassunti, le biblioteche che non aprono di notte. Ciascuno a suo modo.
Nelle aule di via Filippo Re gli specialisti della materia sono andati più a fondo. A fronte di un mondo sempre più dominato dalla complessità come si fa a tenere in piedi le migliori tradizioni di teoria e prassi,se le organizzazioni non sembrano più avere il tempo per fermarsi un attimo a orientare il lavoro, invece di correre dietro pratiche sempre più burocratizzate e rigide?
Davanti a una certa tendenza diffusa all’anarcoliberismo (che mi sembra corrispondere a quanto rileva il direttore di Cantiere Bologna, Moscato, come disinteresse verso il bene comune alimentato da un individualismo narcisista), in cui il giusto corrisponde al conveniente e all’interesse del grande capitale, come si àncora l’istruzione e la cittadinanza?
In un mondo che tende all’idealizzazione di un passato dove i diritti non erano universali ma appannaggio di élite, processi che trovano spesso in Elon Musk un simbolo e una fonte abbastanza importante, ci si è chiesti quale può essere il ruolo della pedagogia e delle scienze dell’educazione, come si ridisegna la deontologia dell’educatore, che deve prendere in contropiede il processo di impoverimento simbolico favorito da alcuni media.
Un centinaio di ricercatori e docenti hanno avuto modo di confrontarsi in sessioni generali e in seminari paralleli con focus più tematici. Non avendo queste righe l’ambizione di letteratura scientifica o di atti del convegno, perdonatemi se mi limiterò a riportare qualche considerazione che ho ritenuto interessante.
Mi pare condivisa dai pedagogisti l’idea che la risposta non possa essere l’avere nostalgia verso i modelli del passato, che non bisogna inseguire e coccolare le cosiddette retrotopie, foriere di marginalizzazioni e barriere insormontabili. Attenzione quindi a mettere a confronto una scuola etnocentrica per pochi a una scuola, almeno nelle intenzioni, per tutti e tutte.
Cadere nella trappola della scuola che richiama solo alla democrazia liberale può essere pericoloso? Già da decenni l’educazione ha avuto l’ambizione di andare oltre, di sposare lo spirito più ampio della Costituzione, e solo in quel perimetro troviamo la possibilità di un’emancipazione collettiva, che è l’utopia più alta a cui la formazione dell’essere umano non deve mai rinunciare.
Non possiamo ancora dividerci sul presupposto che una buona istruzione si sviluppa solo se chi educa è in grado di avere un’intelligenza emotiva e sociale. Sul confine tra istruire ed educare si consuma ancora la maggiore difficoltà e la maggiore polemica politica, con la dimensione tecnica e razionale che sembra distruggere la dimensione emotiva e simbolica che invece è più che mai parte integrante della vita e dello sviluppo.
Facciamo poca strada se concepiamo ancora la mente di chi apprende come una scatola da riempire, se pensiamo di aumentare il tempo scuola senza qualificarlo e senza ripensare le regole, i ritmi, il benessere connessi all’imparare, se non ripensiamo gli obiettivi di apprendimento, quanto meno nella prima parte della formazione.
Se coloro che siedono tra i banchi vedranno i loro insegnanti tendenzialmente come i professori di Amarcord di Fellini, oggi, più di ieri, il piano educativo scivolerà sempre di più sui domini informali (podcast, social, fumetti, web) con rischi molto forti per la dimensione collettiva, se pochi oligarchi prendono in mano il controllo della comunicazione.
*docente e dottorando di ricerca (da Cantiere Bologna)