Scontro sulla costruzione di un Cpr tra l’arcivescovo Perego e il sindaco Fabbri, quest’ultimo costretto a fare buon viso a cattivo gioco davanti alla scelta del ministro dell’Interno di localizzarlo a Ferrara.
L’arcivescovo di Ferrara-Comacchio e presidente della Fondazione Migrantes della Cei, monsignor Gian Carlo Perego, aveva criticato la decisione del governo di realizzare nell’area dell’ex aeroporto militare di un Centro di Permanenza per i Rimpatri. Ferrara non dev’essere una città-carcere, aveva scritto il vescovo in una lettera ai giornali.
Il sindaco di Ferrara, Alan Fabbri, gli ha risposto ricorrendo a parole dure e aggressive, non certo rispettose del più alto rappresentante della comunità di credenti, soprattutto se pronunciate da chi dovrebbe rappresentare tutta la città, non solo la Lega. E così in un post su Facebook, Fabbri si è lasciato andare a frasi che ricalcano in pieno vecchi e usurati cavalli di battaglia della Destra non appena si accenna al problema degli immigrati: “Consiglio al vescovo di fare meno lettere ai giornali e di impiegare quel tempo a spalancare le porte, quelle di casa sua, non solo a Cristo, ma anche a queste persone”.
Quali erano state la parole e i concetti dell’arcivescovo? “I Centri di permanenza per i rimpatri (CPR) sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione del provvedimento di espulsione. Quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o respingimento – a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento – il questore dispone che lo straniero rimanga lì fino a 180 giorni.
Attualmente i CPR in Italia sono 10 per una capienza complessiva di 1.378 posti. Essi sono dislocati a Bari, Brindisi, Caltanissetta, Gradisca d’Isonzo (GO), Macomer (NU), Milano, Palazzo San Gervasio (PZ), Roma, Torino, Trapani. Sono presenti in 8 su 20 Regioni. In tali strutture lo straniero deve essere trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità.
Li ho visitati tutti: sono carceri, spesso a cielo aperto, gabbie senza le tutele delle carceri. Le persone non di rado incendiano tutto, si radicalizzano, si disperano, si autolesionano. Mediamente tre trattenuti su quattro vengono espulsi e uno è lasciato libero sul territorio nazionale, perché scaduti i termini di trattenimento.
Perché un CPR a Ferrara? Ferrara è la provincia con meno immigrati e con meno espulsioni di tutta la Regione Emilia Romagna. Ferrara ha già un carcere, anche per reati di mafia. Ferrara soffre economicamente più di tutte le province dell’Emilia Romagna. Ferrara non ha un porto importante sull’Adriatico.
E allora perché un CPR a Ferrara? Forse una città più in sintonia con il governo delle migrazioni di Salvini e Piantedosi? Perché sviluppare l’idea di una “città carcere”, luogo di reclusione, più che di inclusione, luogo di rifiuto più che di accoglienza, luogo di negazione dei diritti più che di tutela dei diritti?
Forse avremmo bisogno piuttosto di luoghi aggregativi per i giovani, di un Auditorium per ospitare eventi nazionali, di altri collegi universitari, magari d’eccellenza? Forse avremmo bisogno di più case per i migranti lavoratori e le loro famiglie e i rifugiati, di progetti SAI di integrazione, per andare incontro anche alla grande richiesta di lavoratori stagionali e permanenti sul piano agricolo, di camerieri per gli alberghi della città e dei Lidi, di operai e artigiani? Forse, di fronte alle guerre in atto, non dovremmo essere una città-asilo anche per rifugiati e richiedenti asilo?
Più che una città carcere il futuro di Ferrara dovrebbe essere quello di una città aperta, inclusiva, che sappia accogliere, tutelare, promuovere e integrare chi viene da un’altra città italiana o Europea e da un altro Paese del mondo: la città voluta dal grande architetto e urbanista del Dopoguerra Michelucci e sognata da Papa Francesco, la sola città che ha un futuro”.
La dura e scomposta replica di Fabbri: “Leggo, non più con stupore ormai, le parole di questa mattina dell’arcivescovo Perego, che parla già di ‘città carcere. Secondo me è l’esatto contrario. Sono i cittadini a sentirsi in carcere quando questi soggetti invadono strade e parchi, tessono accordi con la criminalità locale, instaurando un clima di paura in città e costringendo i residenti a non poter godere più dei propri spazi in tranquillità” “Consiglio di fare meno lettere ai giornali e di impiegare quel tempo a spalancare le porte, quelle di casa sua, non solo a Cristo, ma anche a queste persone. Poi ne potremo riparlare”-