giovedì 31 Ottobre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

IRAN / La vittoria di Pezeshkian: vero riformismo o maschera degli ayotallah?

Sono passati pochi giorni dalla vittoria di Masoud Pezeshkian e in molti si chiedono se la sua figura politica di riformista moderato sia garanzia di un nuovo corso verso riforme economiche e sociali nella Repubblica islamica a guida sciita. Il Paese, nonostante le imponenti risorse, versa in una profonda crisi economica con un tasso di inflazione al 40% e una pesante disoccupazione: pesano le sanzioni internazionali e le proteste antigovernative recenti, in un paese in cui l’età media è sui 27 anni e rappresenta circa il 30% per cento della popolazione (86 milioni).

La corsa di Pezeshkian alle presidenziali è stata una candidatura voluta ad hoc dal sistema per limitare il fenomeno dell’astensionismo soprattutto quello che ha riguardato i giovani e giovanissimi della generazione Z protagonisti dell’ultima grande protesta antigovernativa in nome di Mahsa Amini la studentessa curda- iraniana morta per un velo messo male. La rivolta del 2022 fu repressa nel sangue: almeno 600 i morti e migliaia gli arresti, fatti che hanno gettato pesanti critiche anche internazionali sulla Repubblica islamica a guida sciita.

“Caro popolo iraniano, le elezioni sono finite e questo è solo l’inizio della nostra cooperazione. Il difficile percorso da percorrere non sarà agevole se non con la tua compagnia, empatia e fiducia. Ti tendo la mano e giuro sul mio onore che non ti lascerò solo su questo percorso. non lasciarci soli”ha scritto lui sui social.

Abbiamo chiesto alla giornalista e scrittrice Farian Sabahi Ph.D e ricercatrice senior in Storia contemporanea dell’Università dell’Insubria e autrice tra gli altri di “Storia dell’Iran” (Il saggiatore 2020) se la vittoria di un membro dell’ala riformista e moderata come Pezeshkian possa essere considerata una speranza verso riforme economiche e sociali, oppure no.

L’INTERVISTA di Antonella Alba su RaiNews

E ancora, da delfino dell’ex ministro degli esteri Zarif fedelissimo di un altro presidente moderato come Hassan Rohani, Pezeshkian ha detto che sulla politica estera “tenderà la mano dell’amicizia a tutti”, “tranne che a Israele”, quali saranno le prossime mosse in merito ad esempio ai conflitti in corso in Ucraina e Striscia di Gaza?

Il secondo turno delle elezioni presidenziali si è tenuto il 5 luglio, dopo la tragica e improvvisa morte dell’ex presidente ultra-conservatore Ebrahim Raisi in un incidente aereo. Medico chirurgo di padre azero e madre curda, ex ministro della salute, deputato a Tabriz dal 2008, Pezeshkian ha vinto con il 53,6 per cento dei voti, battendo al ballottaggio l’avversario ultra-conservatore Saeed Jalili, che si è fermato al 44,3 per cento delle preferenze.  Per lui è subito arrivato il consiglio della guida suprema Ali Khamaenei “Agisca nel solco del suo predecessore”a cui il neo-eletto 69enne presidente aveva prestato fedele giuramento durante la candidatura.

Molti i leader politici che gli hanno inviato messaggi di congratulazioni e auguri. Primo fra tutti Vladimir Putin, poi Xi Jinping, il principe saudita Bin Salman e perfino il presidente iracheno Abdul Latif Rashid. La Russia auspica un’alleanza più forte con Teheran dopo il voto e augura successo al nuovo presidente, ha scritto il Cremlino in una nota.

Il suo insediamento dovrebbe avvenire tra il 22 luglio e il 5 agosto. Ma come per tutti e otto i presidenti prima di lui, dovrà essere prima ufficialmente “approvato” dalla Guida Suprema, ayatollah Ali Khamenei attraverso una cerimonia nota come tanfiz. Indiscrezioni cominciano a correre sulla sua nuova squadra di governo tra cui potrebbero esserci anche donne e membri appartenenti alle minoranze linguistiche entrambi da sempre osteggiati dai radicali. Su ogni ministro deve esserci il via libera del Parlamento, controllato dagli ultraconservatori e appunto presieduto dall’ex rivale di Pezeshkian alle presidenziali, al primo turno, Mohammad Bagher Galibaf. Anche i ministri più sensibili devono passare per il nulla osta di Khamenei capo di Stato spirituale e politico della teocrazia, mentre alla presidenze resta il potere decisionale sulle questioni nazionali e, in misura minore, quelle di politica estera e di sicurezza.

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