Galeazzo Bignami, uomo di punta di Fratelli d’Italia in regione, viceministro delle infrastrutture, nella destra bolognese ci è nato e cresciuto, grazie al padre Marcello, colonna del Msi. Si discosta da altri esponenti del suo partito e dice di ritrovarsi nella Resistenza di Sogno e Montezemolo. Spesso è presente a Ferrara alle iniziative elettorali di Fratelli d’Italia, ma non si espone sulle prossime amministrative e cita Machiavelli: «Se rivelassi i nostri obiettivi metterei in pratica una strategia in evidenza». E sulle future regionali dice: «Dipende da quello che decide Bonaccini». Parla del suo primo approccio alla politica quando era uno studente e venne preso di mira a scuola, fino al legame con la presidente Meloni, «molto esigente, soprattutto con sè stessa». Su Bologna 30 non transige: «Se il Comune persevera, faremo rispettare la direttiva sui limiti di velocità». E sulla famosa foto che lo ritrae a una festa di addio al celibato con la divisa da nazista ha più volte ripetuto “grave, ma in quella foto non mi riconosco più”.
L’intervista è stata realizzata per Quindici, rivista del Master in Giornalismo di Unibo. E’ stata pubblicata sul sito Cantiere Bologna (www.cantierebologna.com)
di Lorenzo Trisolini, giornalista
— Con una figlia è stato difficile conciliare il lavoro con la vita personale?
«La nascita di mia figlia ha aperto spazi che non credevo esistere. Non è stato semplice perché la mia famiglia ha subito importanti conseguenze a causa dell’impegno politico di mio padre, quindi cerco di parlare il meno possibile di mia figlia. Non vorrei essere aggredito dove fa più male».
Quali conseguenze?
«Quando ero piccolo ci bruciarono casa e in un’altra occasione a mio padre spararono sette colpi, di cui cinque andarono a segno. Il mio ingresso in politica fu deciso dalle organizzazioni comuniste del liceo Righi che il primo giorno di scuola fecero irruzione in classe: chi è Bignami? Io alzai la mano e, pochi minuti dopo, mi ritrovai a quattro zampe, con un cartello al collo con la scritta “fascista” e un guinzaglio che mi tirava in giro per la scuola».
E cosa è successo poi?
«Dopo qualche settimana di questi trattamenti chiesi a mio padre di cambiare scuola, ma lui rispose che se cedevo allora avrei ceduto sempre e mi tenne lì».
La Costituzione ha come valori fondanti quelli dell’antifascismo. Lei da parlamentare dello Stato come la vive?
«Dobbiamo riconoscere piena adesione ai valori costituzionali. Un sentimento antifascista è il presupposto per chiunque voglia fare attività istituzionale democratica nel nostro ordinamento».
Quindi lei si dichiara antifascista?
«L’antifascismo è un concetto molto ampio quindi bisogna fare delle precisazioni. Se essere antifascista significa condividere le deportazioni nei campi attuate da Tito, non sono d’accordo. Se invece parliamo della resistenza bianca di Sogno e Montezemolo, allora sì, quello è il vero antifascismo che è stato fondante per il nostro attuale ordinamento».
Come vede da rappresentante di governo i saluti romani degli esponenti di estrema destra ad Acca Larentia?
«Mi ha sorpreso la polemica successiva che ha strumentalizzato l’evento. Io sono distante da loro così come lo sono da manifestazioni di estrema sinistra».
Fare il saluto romano non va in contrasto con ciò che dice la nostra Costituzione?
«C’è una ricca giurisprudenza che differenzia le modalità e le finalità del saluto romano. Viene fatta una distinzione tra la finalità emulativa/rappresentativa e quella politica/ricostitutiva. In sintesi se non c’è il pericolo di ricostituzione del disciolto partito fascista, non è punibile».
Esiste un pericolo fascista o comunista in Italia?
«Abbiamo anticorpi molto robusti e non c’è pericolo che gli estremismi possano affermarsi. Vedo sacche da entrambe le parti che non vanno sottovalutate, ma monitorate nel rispetto dei principi di libertà e democrazia».
Da giovane ha collaborato con Il Secolo d’Italia. Qual è lo stato di salute della stampa italiana oggi?
«Professionalmente buono, però soffre la concorrenza di internet e social, che non garantiscono la stessa qualità, ma rappresentano una fonte d’informazione. Come tutte le cose che hanno valore, la carta stampata andrebbe pagata e pertanto preservata».
Nel 2019 lei e Marco Lisei filmaste i citofoni delle case popolari della Bolognina per dimostrare che i criteri di assegnazione degli alloggi favoriscono i cittadini stranieri. Adesso che siete al governo cosa state facendo per cambiare questa situazione?
«Compete alle regioni introdurre modifiche riguardanti le assegnazioni degli alloggi. È un principio affermato dalla Corte Costituzionale che va rispettato, ma non per questo si devono ignorare gli effetti distorsivi di norme egualitarie ma di fatto penalizzanti».
Alle prossime elezioni regionali punterete su un civico o un politico?
«Per prima cosa dobbiamo valutare come andranno le Europee. Se Bonaccini si candiderà, si voterà in autunno, se non lo farà si voterà tra un anno e tre mesi. In politica è un’era geologica, quindi fare oggi programmi per allora è impossibile».
Irene Priolo, ospite di questa redazione, ha detto che il governo strumentalizza l’alluvione contro le amministrazioni di sinistra. Lei cosa risponde?
«Potrei alimentare una facile polemica dicendo che è colpa della Regione, quindi rimandare alla Priolo le accuse, ma sarei disonesto intellettualmente perché le difficoltà sono endemiche e perciò si deve lavorare insieme per superarle».
Perché tanto ritardo nei rimborsi alle famiglie e alle imprese romagnole?
«La ricostruzione si fonda su due pilastri: pubblica e privata. La prima sta procedendo in maniera celere visti i due miliardi e mezzo già nelle mani del commissario. Quella privata invece meno perché poggia sul riadattamento della piattaforma Sfinge, già usata per il sisma del 2012, che è in capo alla Regione e presenta notevoli criticità».
Alla visita di Meloni e Von der Leyen a Forlì ha accusato di incompetenza il dirigente del servizio pubblico per aver consentito una manifestazione degli alluvionati romagnoli. Ci racconta com’è andata?
«L’episodio riguarda un funzionario che già in passato aveva connotato la sua attività, a mio modo di vedere, non imparziale. Inoltre ho notato degli atteggiamenti complessivi che non mi hanno convinto».
Quali atteggiamenti?
«C’era questo forte rumoreggiare che è abbastanza legittimo. Ho fatto anch’io le manifestazioni di piazza, quindi lo reputo fisiologico, però questo frastuono non consentiva proprio di parlare soprattutto perché c’erano inspiegabilmente le finestre aperte, nonostante stesse piovendo. Stiamo parlando di gennaio, non era estate. Ho chiesto se si potesse evitare che ci fosse un’interferenza rumorosa. Non volevo impedire a nessuno di manifestare».
Alle amministrative di giugno quali comuni pensate di strappare al centrosinistra?
«Difficile dirlo. Tutto dipende dalle dimensioni delle località dove si vota. Ad esempio i comuni intorno ai 12-14mila abitanti possono richiedere esigenze di candidature di partito, mentre realtà più piccole, dove l’appartenenza partitica è molto più sfumata o addirittura svanita, si consigliano scelte di carattere più civico. Prendo come esempio Castel D’Aiano, dove nel settembre 2022 il centrodestra ha deciso di candidarsi con i simboli di partito e ha preso il 20%».
Invece nella cintura bolognese pensate di portare a casa qualcosa o rimane un fortino inespugnabile?
«In alcune realtà non siamo così forti da vincere ma siamo abbastanza forti da far perdere il Pd».
Un esempio?
«Se lo dicessi metterei in pratica una strategia in evidenza, cosa che Machiavelli consiglia di non fare mai».
Passiamo a Bologna 30. Lo scontro tra governo e Comune prosegue ormai da settimane. Cosa succederà se Bologna non si adegua?
«Non voglio parlare di disapplicazione perché si tratta di un termine giuridico complesso. Noi confidiamo in un dialogo che ci sembra ormai unilaterale, perciò se il Comune dovesse perseverare in questa direzione non potremo fare altro che attuare l’articolo 142 secondo comma, che prevede anche l’emanazione di provvedimenti finalizzati al rispetto della direttiva».
Lepore l’ha definita Podestà, ma poi le ha fatto i complimenti per la nomina a viceministro e l’ha ringraziata per la presenza in piazza il 25 Aprile. Lei che cosa apprezza del sindaco Lepore?
«È una domanda difficile, gli riconosco di essere riuscito a tenere assieme anime molto diverse perché si va da aree di estrema sinistra fino ad aree che vanno nella profondità del centro politico. Devo dire che questa è una qualità di composizione, forse grazie a dinamiche di potere, che non pensavo possedesse, soprattutto per la sua postura caratteriale».
Cosa invece non apprezza della presidente del Consiglio Giorgia Meloni?
«Domanda complessa (sorride ndr) perché la conosco da molti anni. Ciò che mi mette più in difficoltà è che è molto esigente. Lo è prima di tutto con sé stessa perciò se non dai il massimo in quello che fai, ti senti in colpa».
Salvini sta insistendo sempre di più sul terzo mandato per i presidenti di Regione mentre voi di Fratelli d’Italia siete contrari. Teme una frattura nella maggioranza di governo?
«No, crediamo nella bontà della nostra posizione. Per i comuni sopra i 15mila abitanti non è consentito andare oltre il secondo mandato proprio per evitare concentrazioni di potere prolungate nel tempo, pertanto riteniamo coerente questa impostazione anche in sede regionale».
Giorgia Meloni ha identificato Elly Schlein come sua principale avversaria dell’opposizione, ma a sinistra c’è anche Giuseppe Conte che vorrebbe quel ruolo. Chi teme di più tra i due?
«Il timore non c’è, lo dico senza alcuna impronta retorica. Conte ha voglia di tornare a Palazzo Chigi per un riscatto personale mentre Schlein, per quanto profondamente sbagliata, ha un’impronta più ideologica».
Biden incontra Meloni e Salvini fa l’elogio di Trump. Meloni incontra Zelensky e Salvini si smarca. Questo danneggia il governo e la politica estera?
«Non so se Salvini si sia smarcato, non ritengo condivisibile quest’affermazione. Comunque il rapporto istituzionale è cosa diversa dal rapporto politico e anche dalle simpatie personali. Non conosco i rapporti tra Biden e Meloni, ma sono presidenti di due grandi democrazie e quindi sarebbe un problema se, per simpatie o antipatie personali, non si parlassero e non collaborassero».
Il governo è al lavoro con l’Ungheria per la vicenda Ilaria Salis. C’è qualche possibilità di riportarla presto in Italia?
«La vicenda suscita in me un’esigenza di riaffermare la tutela dell’italianità. Se Ilaria Salis ha commesso degli errori va giudicata, se non li ha commessi deve essere liberata. In questi casi, come dimostrano le vicende Zaki e Chico Forti, le vie diplomatiche devono essere più prevalenti di quelle giudiziali. Forse politicizzare il caso porterebbe a una rigidità dall’altra parte, ma io non sono al ministero degli Esteri e non ho contezza del dossier».
Lei che cosa ne pensa di Orban?
«È stato eletto anche se molti dubitano sulle dinamiche di voto. Io non ho elementi per sostenere tesi opposte. Quando la democrazia porta a un risultato, piaccia o non piaccia, va rispettato».
Condivide il monito di Mattarella dopo gli interventi della polizia a Pisa?
«Avendo preso le manganellate da giovane dico di sì».
Come sta vivendo il momento magico del Bologna di Thiago Motta? È un tifoso rossoblù?
«Sì, sono tifoso ma purtroppo quest’anno ho visto una sola partita al Dall’Ara: Bologna-Milan ad agosto, uno dei pochi match perso in casa quest’anno. Ricordo che ci andai con Matteo Salvini tra l’altro, lui da milanista ha ovviamente gioito. Da quel momento il Bologna ha perso soltanto con l’Inter al Dall’Ara perciò mi sono auto bandito dallo stadio per scaramanzia. Anche se, va detto, all’epoca la squadra non era ai livelli di oggi».