Oggi 20 marzo – inizio della primavera astronomica che il calendario colloca a mezzanotte e un minuto del 21 marzo – si celebra la Giornata Mondiale della Felicità. Istituita nel 2012 dall’ONU sulla scia di quanto il Bhutan, piccolo stato himalayano dell’Asia, prevedeva già dagli anni Settanta, ossia la misurazione del Paese come Felicità Interna Lorda (Fil) e non il Pil con l’obiettivo di generare  “un approccio più inclusivo, equo ed equilibrato alla crescita economica, che favorisca la felicità e il benessere di tutti i popoli”. Oggi questo piccolissimo Stato, una monarchia costituzionale, può vantare uno sviluppo socio-economico equo e sostenibile; la protezione dell’ambiente; la promozione e la conservazione culturale e una buona governance. In occasione della celebrazione, i media di tutto il mondo si sono sbizzarriti nel descrivere la Felicità e, di converso, nello spiegare che cosa manca alle nostre comunità per potersi dire felici.

LA SOLITUDINE DEI RAGAZZI

Newsweek ha pubblicato uno studio globale che fotografa una situazione abbastanza allarmante e peraltro nota a parecchi genitori: 8 ragazzi su 10 appartenenti alla Generazione Z hanno affermato di aver provato sentimenti di solitudine nell’ultimo anno e, come se non bastasse, oltre uno su 3 ha confessato di sentirsi spesso solo o addirittura regolarmente solo (15%). (La Generazione Z è quella dei nati tra la seconda metà degli anni Novanta e le prima metà degli anni Duemiladieci)

Quella dell’infelicità è però una condizione che non riguarda solo i giovani, ma si tratta di un’epidemia che coinvolge tutte le generazioni con livelli sempre più preoccupanti: a sentirsi soli e infelici sono anche il 72% dei Millennials o Generazione  (1980-1994, ovvero divenuti maggiorenni nel nuovo milennio),  il 60% della Gen X (1965-1979) e il 45% dei Baby Boomer (1946-1969). (La foto è di repertorio)

LE PAURE DELLA GENERAZIONE ZETA

Nell’ottobre 2024 il portale Skuola.net ha presentato uno sondaggio su ciò che spaventa maggiormente i ragazzi. La paura principale attiene soprattutto ai fallimenti della sfera personale. E se si chiamano in ballo i grandi temi sociali, al vertice c’è quella di una guerra nucleare. A questa rappresentanza delle Generazioni Alpha (nati dopo il Duemila) e Zeta è stato però chiesto molto di più. Ovvero di descrivere le paure più profonde: solo il 5% degli intervistati ha ammesso di non temere nulla. Al comando – al 38% – c’è il timore di non riuscire a raggiungere mai uno stato di soddisfazione o di felicità. In seconda posizione  – con il 34% – c’è lo spettro di mancare la realizzazione economica. Al terzo posto, con il 33% dei voti, la paura di non trovare l’amore o un compagno di vita.

Tra le cose che spaventano diffusamente i giovani ci sono anche dei temi che coinvolgono l’intera società: circa un terzo (32%) degli intervistati, ad esempio, è terrorizzato dal possibile scoppio di una guerra su scala globale o, peggio ancora, nucleare, paura che si piazza al quarto posto. Nella classifica delle paure degli under 30 si trova poi: quella di non riuscire a trovare un buon lavoro (quinta, menzionata dal 29% del campione), quella di faticare a rendersi indipendente (con il 27% è sesta) e quindi di faticare a farsi una vita propria (casa, famiglia, ecc.), quella di passare un’intera vita senza avere veri amici al proprio fianco (al 26%, che vale un settimo posto). A chiudere la classifica, due argomenti dalla natura opposta: in nona posizione, il dilagare della violenza sociale temuta dal 23% degli intervistati e, in decima, con il 19% dei voti, c’è la più frivola paura di non riuscire a viaggiare abbastanza.

I PERCHE’ DELLA SOLITUDINE

Secondo gli esperti che hanno condotto lo studio per Newsweek le cause della solitudine sono da ricercare nei decenni in cui le priorità erano i profitti, mentre le relazioni personali sono state messe in secondo piano: i prezzi degli alloggi inaccessibili, l’insicurezza nel mondo del lavoro e una raffica costante di confronti virtuali guidati dai social media, hanno fatto il resto.

Il tutto acuito dalla mancanza di una vera comunità, che fa sentire le persone abbandonate e disilluse. Una situazione che dalla vita privata si ripercuote anche sul lavoro: uno studio MetLife riportato da Fortune sottolinea infatti come solo il 59% della Gen Z sia felice nel proprio posto di lavoro, un dato inferiore ai boomer felici che si attestano al 71%. E il futuro è ancora più oscuro: “The Good Childhood Report 2024” realizzato da The Children’s Society ha svelato che i 15enni italiani sono tra i meno soddisfatti della propria vita in Europa, davanti solo a Regno Unito, Malta, Polonia e Germania.

CHE FARE E LE FORMULE DELL’EUROPA DEL NORD

 Secondo Walter Rolfo, presidente della Fondazione della Felicità ETS e docente di Ingegneria della felicità al Politecnico di Torino “essere finalmente felici è semplice, basta rendersene conto e soprattutto sceglierlo. Secondo il Journal of Personality and Social Psychology, si verifica un incremento concreto della felicità semplicemente scrivendo quotidianamente in un diario tre cose che ci hanno resi felici nella giornata. La consapevolezza di quanto di positivo già accade nella nostra vita ci permette infatti di essere non solo più felici, ma anche più ottimisti, più sani e motivati”.

La felicità secondo i Paesi del Nord Europa. “Sii consapevole. Sii grato. Sii gentile”. È fatta di tre step semplici la formula della ricerca della felicità: il primo passo, quello della consapevolezza, è fatto dal respirare profondamente e interrogarsi su come ci si sente in quel preciso momento. Il secondo, legato invece alla gratitudine, prevede che ci si guardi intorno, chiedendosi per cosa si è grati.  E infine, il terzo step, quello della gentilezza, è fatto dall’invio di amore alle persone che ci circondano. “Ci sono molti problemi importanti e preoccupanti nel nostro mondo in questo momento- spiega Action for Happiness, un movimento senza scopo di lucro di persone provenienti da 160 Paesi che coordina la giornata -. Non possiamo sempre cambiare ciò che sta accadendo, ma possiamo scegliere come rispondere”. La buona notizia quindi è che la felicità è uno stato d’animo che si può, anzi si deve, apprendere, per stare bene.

Ma va considerato anche che la felicità è frutto di politiche sociali e politiche che pongono al centro le persone. Quindi il miglioramento delle relazioni, la creazione di punti di incontro e aggregazione tra i giovani anche slegati dalle tecnologie oggi invasive, una scuola che allunghi i tempi della sua attività educativa e di apprendimento, politiche in favore delle donne e delle madri, un’organizzazione delle città che preveda anche la diversificazione degli orari, l’assistenza sanitaria e di sostegno psicologico sul territorio e nei quartieri, la riscoperta del ruolo della comunità. Sono una parte dei compiti che una diversa organizzazione della vità  ha da favorire per far sì che solitudine, indifferenza o altri fenomeni allarmanti non abbiano la prevalanza sui ragazzi.

I PAESI PIU’ FELICI

Il Messico si è classificato quest’anno tra i dieci Paesi più felici del pianeta, secondo il World Happiness Report 2025, coordinato dall’Università di Oxford, Gallup e il Sustainable Development Solutions Network delle Nazioni Unite. In base ai risultati del rapporto, il Paese latino americano è salito di 15 posizioni rispetto alla misurazione presentata lo scorso anno, collocandosi al 10° posto nella classifica che analizza le informazioni disponibili per 147 nazioni. Aspetti come la forza del supporto sociale e la struttura famigliare sono stati fondamentali in questa ripresa. I Paesi nordici restano in cima alla lista, con la Finlandia al primo posto per l’ottavo anno consecutivo. All’altro estremo della classifica, l’Afghanistan ripete l’ultima posizione, confermando il suo status di Paese meno felice al mondo.

Secondo la classifica stilata dall’Università di Oxford, da Gallup e dal Sustainable Development Solutions Network delle Nazioni Unite, l’Italia si classifica al 40esimo posto, la Francia al 33esimo, la Germania al 22esimo e l’Austria al 17esimo. In forte discesa gli Stati Uniti, 24esimi, il risultato peggiore dal 2012, quando è stata creata questa graduatoria (allora erano 11esimi). C’è un aspetto sorprendente in questi dati: se condividere i pasti è strettamente legato al benessere, viene fatto notare che il numero di persone che mangiano da sole negli Stati Uniti è aumentato del 53% negli ultimi due decenni.

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