(da professionereporter.eu) — Né con Kamala Harris né con Donald Trump: il Washington Post aveva annunciato a pochi giorni dalle elezioni che non appoggerà nessuno dei due aspiranti presidenti, rompendo così con una tradizionale cinquantennale di supporto ai democratici. Una notizia bomba nell’ambiente politico, ma anche nel mercato dell’informazione e oggi si sostanzia in perdite concrete: nel periodo di riferimento tra il 25 ottobre (data del mancato endorsement) e il 29 ottobre, gli account social del Post hanno perso 28mila follower, mentre il sito web in un solo giorno è sceso da 4,9 milioni a 3,9 milioni di accessi, come sottolinea l’agenzia Arcadia.
Venerdì 25 ottobre The Washington Post aveva scritto in un editoriale firmato dal suo amministratore delegato, William Lewis, che non esprimerà il proprio endorsement –il proprio sostegno- a favore di uno o dell’altro candidato alle prossime elezioni presidenziali Usa del 5 novembre. E che non lo farà più in futuro.
Gli stessi giornalisti del Post hanno rivelato che l’endorsement era già stato deciso dall’editorial board del quotidiano a favore di Kamala Harris e poi cancellato su richiesta del proprietario del giornale, Jeff Bezos, il proprietario di Amazon,
Non tutte le cancellazioni degli abbonamenti hanno effetto immediato. Tuttavia, la cifra rappresenta circa l’8% della tiratura a pagamento del giornale di circa 2,5 milioni di abbonati, che include anche la versione cartacea. Il numero di cancellazioni ha continuato a crescere ancora lunedì pomeriggio. Diversi giornalisti del Post hanno dichiarato che i loro parenti sono tra coloro che hanno annullato gli abbonamenti.
Nell’editoriale scritto da Bezos sul Post lunedì sera, c’è la convinzione che un giornale autorevole debba risultare sempre indipendente: “Gli endorsement presidenziali non fanno nulla per far pendere la bilancia di un’elezione. Nessun elettore indeciso in Pennsylvania dirà: “Scelgo l’endorsement del Newspaper A”. Nessuno. Ciò che gli endorsement presidenziali fanno in realtà è creare una percezione di parzialità. Una percezione di non indipendenza. Mettere fine a questo è una decisione di principio, ed è quella giusta. Eugene Meyer, editore del Washington Post dal 1933 al 1946, la pensava allo stesso modo, e aveva ragione”, ha scritto il proprietario della testata ed ex amministratore delegato di Amazon, Jeff Bezos.
In questi mesi, come sempre, il giornalisti del Post hanno rivelato ripetuti casi di illeciti e accuse di illegalità da parte di Trump e dei suoi soci. La pagina editoriale, che opera separatamente, ha definito Trump una minaccia all’esperimento democratico americano. Tre delle prime 10 storie più viste sul sito web del Post domenica erano articoli indignati per la decisione di Bezos. Il più letto in assoluto l’articolo dell’umorista Alexandra Petri, dal titolo “Tocca a me, l’umorista, sostenere Harris”. Più di 174.000 persone lo hanno letto online. All’inizio del 2024 l’ editore del Post aveva dichiarato un guadagno di 4.000 nuovi abbonati.