Ora vorreste che io vi dicessi che ogni amore è uguale a un altro, che ogni passione merita di essere vissuta purché sentita. Che in fondo vale ciò che abita la fine del nostro cuore, le passioni, gli odi, al di là del gelidi conformismi.
Che una vita vissuta seguendo le indicazioni che gli altri ci danno -la temperanza e la prudenza, quest’ultima virtù capace di spazzare ogni male e ogni infelicità dalle nostre esistenze- è piatta e fragorosa nella sua goffaggine.
E invece vorrei dirvi che un certo affetto, un amore maturo e per nulla passionale per la vita e per gli altri, una certezza, una poesia elementare come di quelle che imparavamo a scuola, è capace di imprimere ai nostri destini tanto di più di una passione come tante, fugace. Lo si capisce alla soglia dei quarant’anni, dei cinquanta, non so quanto siate veloci oppure lenti di comprendonio, svegli nell’afferrare i processi, o a fotografare i complementi in un frase, in latino, in italiano, in tedesco.
Vorrei potervi dire che non esiste più età per ogni cosa, e che ogni sogno può essere inseguito a prescindere. E invece credo che ogni fase, ogni avventura, vada intrapresa non in base a ciò che siamo, ma in base a ciò che siamo diventati strada facendo.
Ce lo ricorda questa impietosa luce che sparisce, e che al mattino ci saluta con un primo brivido di aria frizzante mentre indossiamo una vestaglia leggera, la prima, o ci rivoltiamo nel letto per la prima volta non sudati. Ci lasciamo indietro i sogni impossibili, gli amori, i ricordi di gioventù.
Conosciamo il significato di ciò che è stabile, e come dare torto a un autunno che sopraggiunge distante, fastidioso, perfino prevedibile, con i suoi accenni di estate (lontani!) e la sensazione che il meglio, così come il peggio, sia davvero passato.
È la fine dell’estate per me, è il bilancio a cui sono arrivata, e lo scrivo mentre un qualsiasi Alì o Mohammed mi sorride (che Dio lo benedica!), nella splendente via Secchi, tornando a casa.
Sara Di Antonio