Tra un mese e mezzo non sarà più possibile per i privati ricorrere al lavoro a distanza, lo smart working. Amministratori e dirigenti delle grandi aziende sono da sempre contrari a far tornare in ufficio i dipendenti. Tra i motivi: le costosissime sedi fatte costruire negli ultimi anni, se svuotate di lavoratori, perderebbero valore.
Ma i sondaggi, nella Silicon Valley e in Italia, dicono che le aziende sono miopi: rischiano di perdere i giovani talenti che, anziché spostarsi ogni giorno da casa al lujogo di lavoro preferiscono lavorare per quelle imprese che fondano le loro fortune sullo smart working e che hanno quindi più fortuna nell’ingaggiarli.
Proroga saltata: il 31 marzo finisce per tutti, anche per i fragili. Senza un accordo aziendale che disciplini lo smart working, dopo il 31 marzo non sarà più possibile usufruire di giorni di lavoro da remoto per lavoratori del privato fragili e con figli sotto i 14 anni. I dipendenti pubblici non ne avevano più diritto dal 31 dicembre.
I lavoratori del pubblico hanno dovuto rinunciarci il 31 dicembre. E i privati dovranno salutarlo dopo il 31 marzo. Niente proroghe per lo smart working per fragili e persone con figli sotto i 14 anni: la norma che avrebbe dovuto stabilire la proroga della misura (al momento in scadenza al 31 marzo) doveva essere inserita nel Milleproroghe in discussione ieri alla Camera, ma è saltata. Gli emendamenti presentati dal Movimento 5 stelle per ottenere una proroga sono stati respinti: i 5 stelle puntavano in realtà a rendere strutturale lo smart working in particolare per i lavoratori fragili, sia del pubblico sia del privato. Ma la cosa non è passata.
Fatte salve le aziende che hanno strutturato lo smart working tramite accordi aziendali (e ormai sono tante ad essersi mosse così), resta dunque in vigore la scadenza del 31 marzo per chi aveva diritto al lavoro agile nel settore privato, a patto che il tipo di lavoro fosse valutato compatibile con la prestazione da remoto. A chi spetta al momento questa possibilià? Ai lavoratori dipendenti con figli minori di 14 anni (e dove entrambi i genitori lavorino e nessuno dei due percepisca strumenti di sostegno al reddito) e ai lavoratori fragili a fronte di una certificazione del medico.
CHI RESISTE AL LAVORO A DISTANZA
Con la pandemia, decine di milioni di persone nel mondo hanno potuto continuare a lavorare grazie allo “smart working”. Il lavoro a distanza, perlopiù da casa, è considerato il “new normal” del mercato del lavoro post-Covid. Eppure, nei mesi scorsi il CEO di Goldman Sachs, David Salomon, ha giudicato “aberrante” questa prospettiva, chiarendo che farà in modo che entro settembre non ci sia una nuova classe di tirocinanti assunti a distanza.
Nel frattempo, anche Tim Cook chiede ai dipendenti di Apple di tornare in ufficio tre giorni a settimana, pur senza obbligo di indossare la mascherina. Ma un sondaggio realizzato tra 1.749 lavoratori di Cupertino ha trovato che ben il 90% sarebbe contrario alla fine dello smart working e un’elevata percentuale prenderebbe in considerazione persino di passare ad un’altra azienda.
Facebook per il momento sta lasciando libertà di scelta ai lavoratori, mentre Twitter ha annunciato che lo smart working per i suoi dipendenti sarà per sempre. Google ha seguito, invece, l’esempio di Apple e richiede la presenza in ufficio per tre giorni a settimana. In Italia, Unicredit consentirà ai suoi dipendenti di lavorare a distanza per un paio di giorni a settimana.
Eppure, lo smart working consentirebbe a molti lavoratori – scrive Giuseppe Timpone su investireoggi.it – di evitare di vivere a ridosso delle sedi aziendali, spesso in aree urbane costosissime, come la Silicon Valley e New York per restare in America.
IN ITALIA. Nel nostro Paese non sarebbe necessario per un giovane del Meridione spostarsi a Milano per lavorare alle dipendenze di una grossa società. Ma c’è una ragione per cui si avvertono così forti resistenze tra i dirigenti d’impresa: hanno investito sinora in sedi costosissime e centrali, che rischiano adesso di deprezzarsi molto.
Se lo smart working attecchisse definitivamente, che ne sarebbe degli enormi grattacieli nei centri delle grandi città? Rimarrebbero vuoti e infliggerebbero perdite patrimoniali alle multinazionali. Ma sarebbe come pensare di fermare un’onda del mare con la mano. Il fenomeno è già in evoluzione e le nuove realtà stanno accaparrandosi i migliori talenti di tutto il mondo, non avendo l’esigenza di assumerli nelle vicinanze delle loro sedi.
Non hanno investito in immobili da dover necessariamente riempire di scrivanie inutili e possono permettersi di adottare lo smart working come misura stabile e per tutti. Le resistenze delle multinazionali “old style” saranno piegate dal mercato: o si adattano o rimarranno a corto di talenti e con uffici costosi da mantenere.