di Sara Di Antonio
Poi ho detto alla Sfinge che il mare era grigio, o grigio verde come i suoi occhi, e non mi ha creduto. Siamo venute in un posto che ha la vista sul mare, un posto in cui le cameriere ti guardano come se volessero accudirti, salvarti dai mali del mondo, che come sappiamo sono tanti ed enormi, e imperscrutabili.
Non mi ha creduto perché lei è come me, che non credo che la mia Quirina possa avere un male grande, un piccolo siamese con un tumore alla mammella, incurabile, come incurabili sono i mali di persone buone che da poco sono morte, risucchiate da questa vita assurda che però è meglio di niente.
Come non credo che non ci sia speranza per la pigrizia di G., che non vuole esercitarsi su Esopo, vorrebbe solo tradurre Andromacha, e guarda la sorella con occhi piccoli e con aria di sfida, chiedendole: “L’Iliade, non ricordi?”, mentre il mare effettivamente è lo stesso, visto da qui, ma dall’altro lato; ma della moglie di Ettore, nonostante gli studi classici, nessuno di noi ricorda.
La Sfinge mi chiede solo se possiamo prendere delle altre patatine, mentre io, come voi, sono solo disgustata dalla realtà che inevitabilmente offende, delude. Al ristorante mi servono un Trebbiano, da vino prima umile, testardo e orgoglioso, poi diventato fiero vessillo di un’identità enogastronomica che si fa dare del voi, e deborda, dall’Abruzzo a un altrove non meglio definito, ma più ricco ed europeo.
Di queste amare terre parlò John Fante, di queste amare terre parlò Marchionne, molto più umilmente, prima di morire, visitando un’azienda di Chieti.
Di delusioni, che vanno di pari passo con gli slanci verso il futuro è piena la vita, sussurro sommessamente alla Sfinge, ma lei non mi crede; ha imparato appunto a fingere e a diffidare, e mi chiede quando arrivano le altre patatine, impaziente e schiva, mentre io guardo il mare che è di un verde salvia, come sono verdi gli occhi della sfuggente V…
Che pena la vita!