di VITTORIO ROIDI *
— Loro, i redattori del quotidiano, hanno detto che esprimeranno un giudizio alla fine dei trenta giorni preventivati, ma hanno già anticipato qualche conclusione. Noi lettori, dopo aver comprato ed esaminato per una decina di giorni questo Foglio per metà scritto con l’Intelligenza artificiale, abbiamo idee e impressioni abbastanza precise, pronti naturalmente a rivederle quando il giornale diretto da Claudio Cerasa avrà concluso il suo esperimento.
Ho pensato subito che l’iniziativa di questa redazione è coraggiosa e di grande interesse culturale e professionale. Anzitutto una “certezza”: l’Intelligenza artificiale consente di pubblicare ottimi testi, cioè articoli ben scritti, corretti, più che accettabili dal punto di vista del linguaggio, dello stile, della forma del quotidiano. Particolare non da poco, visto che i lettori del Foglio sono stati abituati fin dall’inizio, cioè dalla fondazione da parte di Giuliano Ferrara, primo numero 30 gennaio 1996, a leggere un prodotto scritto con buona tecnica espressiva.
Si tratta di un accertamento importante perché significa che l’editore, in attesa di condurre verifiche più approfondite sui contenuti, può sostituire alcuni redattori e mettere al loro posto il suo “robot” (che comunque necessita sempre delle domande dei giornalisti). Può risparmiare soldi, visto che un computer costa molto meno di un redattore. Una scoperta che preoccupa, perché induce a pensare che l’iniziativa della redazione possa fare l’interesse dell’editore e rivelarsi disastrosa per i giornalisti, i quali sanno bene come gli industriali dell’informazione mettano sempre il bilancio in testa ai propri ragionamenti.
Un pericolo che non correranno i redattori del New York Times, invece. Da qualche giorno essi si sono gettati infatti sull’Intelligenza Artificiale, ma hanno prima preteso un limite preciso: il divieto di affidare l’incarico di comporre articoli interi alla macchina elettronica, alla quale potranno essere chiesti solo contributi marginali: titoli, sommari, incisi, riassunti e operazioni di sintesi, che affianchino i redattori. I quali, perciò, non dovrebbero temere di perdere il posto di lavoro.
Il supplemento di quattro pagine pubblicato da Il Foglio induce poi ad altre riflessioni, che riguardano piuttosto il contenuto. Gli articoli destinati a questo come ad altri organi di informazione nati utilizzando l’AI sfruttano informazioni già note, immettono sul mercato notizie mai “nuove”. Sono pezzi, anche belli, ma che nascono da informazioni già esistenti, che vengono scelte, scritte, illustrate, interpretate e commentate. Testi interessanti, adatti a giornali che non impostano il proprio impegno sul lancio delle notizie, ma essenzialmente sulla comunicazione di un fatto avvenuto e sulla narrazione dei suoi particolari, spesso dichiarazioni che altri hanno raccolto. Tutti elementi che grazie all’elettronica sono reperiti e riuniti, sui quali si può perciò lavorare. Insomma l’Intelligenza artificiale può contribuire a fabbricare il contenuto di giornali centrati molto sulla spiegazione e sul commento, ma poco o nulla dedicati al lancio della cronaca degli avvenimenti. Come appunto è Il Foglio.
Il giudizio su un simile esperimento dipende perciò anzitutto (o tutto) da quale “giornalismo” si vuole proporre ai cittadini, qual è la natura del prodotto che si vuole mandare in edicola o trasmettere a distanza. I cervelli elettronici utilizzano informazioni archiviate, che conoscono già, sulla base delle quali mostrano addirittura di essere capaci di pensare e ragionare. Ci sono giornali che per queste operazioni non utilizzano cronisti. I quali, si sa, scavano, cercano, fanno domande e prendono appunti, hanno il compito di raccontare ciò che accade. E’ il limite dell’Intelligenza artificiale, la quale può risolvere problemi perfino di scacchi (il campione del mondo è stato sconfitto da un robot), ma non può “trovare” notizie, perché il cervellone non vede neppure in faccia il personaggio che viene intervistato, non lo guarda negli occhi, non si accorge se ride o piange, non può chiedere il perché, insomma non può regolare e impostare il proprio lavoro.
Le meraviglie della tecnologia hanno migliorato grandi e piccole cose della nostra vita, ma il mercato dell’informazione che sta attraversando una fase di regressione dolorosa, poco potrà essere aiutato dalle magie degli algoritmi. Si vede chiaramente, anche grazie all’esperimento del Foglio, che l’Intelligenza artificiale se usata con accortezza, potrà aiutare le redazioni in alcune operazioni tecniche, su manovre che consentono di risparmiare tempo, di arricchire i testi, di pulire e sistemare i materiali. Ma sarebbe probabilmente disastrosa se lasciata libera di sostituire i cervelli umani.
Evviva il giornalismo che fa riflettere, ovviamente. Già ora tutti i giornali dedicano grandi spazi alla spiegazione e al commento, attraverso scelte e soluzioni molto diverse. Un pensiero banale: i lettori che già oggi non sono interessati ai pensieri dei giornalisti in carne e ossa spesso presuntuosi e boriosi, lo saranno ancora meno verso i fogli scritti dalle macchine.
Mi fermo, anche se sono convinto che ci siano molti altri interrogativi ai quali si dovrà dare riposta nel momento in cui si comincerà a utilizzare l’Intelligenza artificiale. Ne cito solo alcuni: chi decide quali notizie pubblicare e quali lasciare fuori? Chi stabilisce la “linea”? Chi l’ordine con cui proporre le informazioni?
E c’é dell’altro. Di chi sarà la responsabilità dei testi anonimi? Sempre e tutta del Direttore della testata come dicono le regole attuali?
Regole. Chissà quali e quante bisognerà metterne? E la discussione deve cominciare presto. Ne dovranno essere protagonisti gli editori, le aziende, i giornalisti, ecco l’impegno che attende i sindacalisti della Fnsi e quei colleghi che sono stati appena eletti alla guida degli Ordini della categoria. Se vorranno salvare il giornalismo, per prima cosa dovranno andare ad ascoltare i redattori e il Direttore de Il Foglio, e mostrarsi all’altezza, per evitare nuovi guai a una categoria già molto disastrata. Finora ben poco i loro predecessori hanno fatto.
Eravamo convinti che le notizie vere, esatte, libere, corrette, dipendessero dalla bravura e dalla professionalità degli addetti a un lavoro così delicato per la democrazia. E che a questo fine si dovesse applicare molta intelligenza umana. Ora sembra che ne serva anche una artificiale. Ma esiste? Professione Reporter proseguirà nella ricerca delle risposte che il cosiddetto progresso tecnico ci propone, visto che in giro per il mondo sono tantissime le aziende della comunicazione che stanno facendo esperimenti. Ma a noi sembra già sicuro che solo i giornalisti potranno riuscire a trovare le notizie che la collettività ha il diritto di conoscere, dedicando più impegno a fare le cose che il robot non riuscirà mai a fare.
* Professionereporter.eu