“Sapevo da tempo che il Ponte Morandi poteva crollare, ma non ho fatto nulla, forse perché avevo paura di perdere il lavoro”. Gianni Mion, con una testimonianza scioccante davanti al tribunale di Genova ha confermato ciò che aveva verbalizzato durante l’inchiesta per la tragedia di Polcevera, aggiungendo dei particolari che lasciano di stucco: “Sapevo e sono stato zitto. Provo un grande rammarico”.
A dirlo e a ripeterlo non è stato uno che passava lì per caso, ma il braccio destro dei Benetton, potente famiglia di industriali veneti che ha gestito per anni le Autostrade italiane, la gallina dalle uova d’oro. Forte di guadagni e dividendi esorbitanti, tra gli applausi della politica e dell’informazione, quest’ultima alquanto distratta sull’inchiesta. Forse perché i Benetton sono stati gli inserzionisti più generosi e importanti per parecchi giornali editi non da editori puri ma da colleghi imprenditori.
Il quadro che viene fuori dal processo e dal “rammarico” di Mion, un ignavo don Abbondio che è stato amministratore delegato della holding dei Benetton, Edizione, e componente del cda di Autostrade pr l’Italia, è sconfortante. Capitani d’industria e della finanza, top manager con stipendi, bonus e buonuscite da favola, d’un colpo appaiono nudi nella loro ristrettezza mentale e mancanza di valori se non quelli della poltrona, del profitto a tutti costi e del smania di conservare un posto in società ma sempre in prima fila. Parole di solito riservate agli ultimi e ai penultimi della piramide sociale, oggi più simile a una babele.
A rileggere le intercettazioni della Procura di Genova dopo il disastro del ponte Morandi con i suoi 43 morti, si ha coscienza di rapporti all’interno di una grande azienda italiana non proprio idilliaci, che avrebbero minato l’etica calvinista e fatto cambiare idea , scusate l’ardire, perfino a Max Weber mentre si accingeva a scrivere “L’Etica protestante e lo spirito del capitalismo”.
Di rigore ed etica calvinista nelle parole di uno dei protagonisti dell’avventura in Autostrade per l’Italia – il pallino dello scomparso Gilberto Benetton – se ne vedono poche tracce, anzi non se ne vedono affatto a leggere alcune dichiarazioni. Eccole.
Mion 1: “Entrai nel 1986 in Edizione e la volontà era quella di diversificare il portafoglio”. Quindi dai maglioni, al rugby, alla Borsa e al monopolio delle autostrade bisogna ammettere che la diversificazione è stato molto, ma molto, remunerativa.
Mion 2: “La verità è che eravamo incompetenti e le cose migliori le abbiamo fatte quando avevamo dei soci che ci aiutavano a capire”.
Mion 3: “C’è poco da fare, il clima è questo e adesso bisogna inventarsi qualcuno che affianchi i Benetton perché il vero problema è la loro inettitudine… non c’è stata la minima presa di coscienza”.
Mion 4 riferendosi a Franca Benetton: “Dice delle cose dopo cinque minuti dice l’opposto, non stimola gli investimenti, le piacciono anche i dividendi… “
Mion 5 riferendosi ad Alessandro Bnetton, cugino di Franca: “Adesso vuole i soldi perché lui ha un progetto, dice che è imprenditore e che gli altri non capiscono niente, mamma mia, pensano solo ai cazzi loro”.
Mion 6 riferendosi a Sabrina Benetton, figlia di Gilberto: “Incontra Franca ma i loro discorsi non sono mai concreti”.
CONTROLLORI IN MANO AI CONTROLLATI
Dichiarazioni di ieri alla stampa di Mion, oggi in pensione: “Autostrade era una cosa troppo difficile per noi e per i miei azionisti… Fu fatto un errore da parte di Aspi quando acquistò Spea. La società doveva stare in ambito Anas o del ministero, doveva rimanere pubblica. Il controllore non poteva essere del controllato… Avevo la sensazione che nessuno controllasse nulla… del ministero nessuna traccia”.
Sulla richiesta dell’avvocato di uno degli imputati di indagare Mion: “Che mi indaghino pure. Ho detto soltanto la verità”.
Queste parole rendono giustizia ai tanti che in passato hanno criticato l’affidamento di un monopolio naturale, come le autostrade, a un privato, e ridotti al silenzio da illustri commentatori ed economisti eccitati dalle privatizzazioni. Il crollo del ponte è stato soltanto il tragico epilogo di una politica economica scandalosa che ha regalato miliardi ai miliardari infischiandosene degli italiani costretti a pagare sempre una cosa già pagata: prima per costruirla dopo con pedaggi sempre esosi.
Tutto ciò nell’indifferenza della classe politica – che in alcuni casi pendeva dalla generosità dei Benetton – e di una parte della classe giornalistica che tirava avanti anche grazie alle generose inserzioni pubblicitarie in arrivo da Ponzano Veneto.
Piero Di Antonio