venerdì 22 Novembre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

PONTE SULLO STRETTO / Un’altra cattedrale da 13 miliardi nel deserto

di Francesco Ramella*

— (lavoce.info). La decisione politica di costruire il Ponte sullo Stretto ha preceduto la valutazione sulla sua convenienza o meno. I numeri dicono che si tratta di un’opera con benefici prevalentemente locali, inferiori ai costi che ricadono sui contribuenti italiani.

La valutazione dell’opera arriva dopo la decisione politica. L’analisi costi-benefici della Tav non lo aveva convinto. E, nello scorso maggio, intervenendo al Senato in occasione della discussione del disegno di legge relativo al Ponte sullo Stretto di Messina, il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini è andato oltre, sostenendo che: “bisogna osare. Se Michelangelo, Raffaello, Leonardo da Vinci non avessero osato e fossero passati da una commissione costi-benefici, oggi non avremmo quello che hanno fatto loro”.

Vale forse la pena ricordare che in questo caso i “mecenati” involontari sono i contribuenti italiani. L’analisi costi-benefici dovrebbe essere uno strumento a loro tutela. Come dovrebbe essere ovvio, non ogni nuova strada, ferrovia, tunnel o ponte è una buona idea. Dipende da quanto costa, da quante persone la utilizzeranno e da quanti soldi e quanto tempo si risparmiano, oltre che dagli effetti ambientali generati.

Dovendosi rispettare quella che al ministro pare essere solo una fastidiosa incombenza prevista dalla legge, una valutazione è attualmente in fase di redazione. È paradossale. Prima si decide politicamente che l’opera è da fare, si stanziano i primi fondi e poi la si sottopone a valutazione.

Si dirà che l’opera è stata analizzata per decenni e che ora si tratta di una pura formalità ma, in realtà, così non è. Ad esempio, rispetto alla valutazione del 2001 i costi di costruzione sono lievitati, a prezzi attuali, da 8 a 13 miliardi. Inoltre, le previsioni di crescita economica formulate dall’advisor dell’epoca si sono dimostrate erronee, così come quelle del collegamento ferroviario Torino-Lione e di molte altre opere.

Nella ipotesi più conservativa si stimava una crescita annua del Pil pari all’1,8 per cento (3,8 per cento in quello ottimistico) fino al 2012 e dell’1 per cento (2,8 per cento) dal 2012 al 2032. Nello scenario senza Ponte si prevedeva che tra il 1999 e il 2032 il numero di veicoli in attraversamento dello Stretto di Messina sarebbe aumentato del 29 per cento nel caso di bassa crescita e del 129 per cento in quello di crescita alta. Le cose sono andate diversamente: il numero di mezzi, che sfiorava i 4 milioni nel 1991, si era ridotto a 3,4 milioni nel 1999 ed è ulteriormente calato di un milione negli ultimi venti anni.

Sulla base dei dati reali di domanda e di traffico e delle più recenti stime di costo, Bridges Research Onlus ha prodotto un’analisi costi-benefici dell’attraversamento stabile dello Stretto. Rispetto alla Tav lo scenario di partenza è molto diverso. Nel primo caso esistono già tre collegamenti stabili, gli assi autostradali che connettono l’Italia con la Francia, mentre si vorrebbero portare le merci sul “traghetto ferroviario”.

Come dimostra anche l’esperienza della Svizzera, l’obiettivo può essere raggiunto solo con una forte disincentivazione del trasporto su gomma e sussidiando quello su ferro, ossia con l’adozione di misure che, nel caso specifico, determinano un peggioramento del benessere collettivo.

Per lo Stretto di Messina, invece, è fuori di dubbio che il collegamento stabile migliorerebbe le condizioni di trasporto. Inoltre, occorre evidenziare come, pur in calo rispetto al passato, il numero di persone che oggi utilizzano il traghetto tra Messina e Villa S. Giovanni è di circa 9 milioni all’anno, contro meno di un milione di passeggeri sui treni tra Torino e Lione.

Tuttavia, anche per il Ponte il risultato della valutazione è negativo con una perdita di benessere stimata pari a 3,6 miliardi. Il nuovo collegamento apporterebbe significativi benefici in termini di riduzione del costo generalizzato di trasporto per le province di Messina e Reggio Calabria, che vedrebbero di conseguenza un aumento molto rilevante della mobilità.

Più limitati sono gli effetti per le altre province di Sicilia e Calabria e quasi trascurabili quelli sulle lunghe distanze; per questi collegamenti, infatti, la riduzione di costo è pari a pochi punti percentuali. Al contrario di quanto spesso si racconta, si tratta dunque di un’opera di prevalente interesse locale e non nazionale o, addirittura, europeo.

I principali benefici ambientali sono correlati alla riduzione del numero di spostamenti in aereo tra la Sicilia e il Centro-Sud e al drastico taglio dei servizi di traghettamento tra le due sponde dello Stretto. Le maggiori emissioni di CO2 causate dalla costruzione dell’opera sarebbero compensate in meno di venti anni dalla riduzione di quelle dei mezzi di trasporto: dopo trent’anni di esercizio, la diminuzione cumulata si attesterebbe intorno alle 400 mila tonnellate, equivalente a un calo di 10 mila tonnellate per anno dall’inizio della costruzione, pari allo 0,01 per cento delle emissioni attuali del settore dei trasporti in Italia.

Parametro determinante ai fini della valutazione complessiva dell’opera è il tasso di crescita della domanda che, alla luce delle attuali prospettive di evoluzione demografica ed economica, si è ipotizzato nullo, il che equivale ad assumere che l’effetto di crescita del reddito pro capite compensi quello conseguente all’attesa riduzione del numero di residenti. In base alle previsioni dell’Istat, nello scenario mediano la popolazione residente a scala nazionale si riduce dell’8 per cento all’orizzonte del 2050 e del 19 per cento al 2070; per il Mezzogiorno il calo è stimato pari al 17 per cento nel 2050 e al 32 per cento nel 2070.

Il progetto raggiungerebbe il break-even nell’ipotesi di un tasso annuo di crescita della domanda nei prossimi quattro decenni pari all’1,7 per cento all’anno. Considerato che si prevede che la realizzazione del Ponte all’incirca raddoppierebbe i flussi in attraversamento dello Stretto nel primo anno di esercizio, l’ipotesi comporterebbe che tra quarant’anni il numero di persone che lo utilizzerà sarà pari a più di 40 milioni all’anno, valore che appare poco plausibile sia in relazione al trend in declino degli ultimi decenni, sia alle prospettive di evoluzione demografica

Poiché una quota largamente maggioritaria dei benefici dell’opera è attribuibile al trasporto su gomma, è verosimile che nel caso di realizzazione di un Ponte solo stradale il bilancio economico risulterebbe meno negativo. È diffusa la convinzione che il Ponte, come altre grandi opere, possa essere un volano per la crescita, ma le evidenze empiriche relative sia all’Italia sia all’Europa sembrano contraddire la tesi.

Ad esempio, la realizzazione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria non ha avuto alcun impatto sulla crescita della Calabria; la città di Napoli ha beneficiato nei primi anni Duemila di un collegamento ad alta velocità con Roma e di ingenti investimenti per la metropolitana, ma il Pil del capoluogo e della provincia è rimasto invariato nella seconda decade di questo secolo. Non vi è evidenza di una ricaduta positiva degli investimenti stradali nelle aree più periferiche d’Europa (mentre vi è una correlazione positiva con la qualità del governo locale) o dell’alta velocità nelle diverse regioni della Francia.

La decisione di realizzare l’opera dovrebbe quindi essere condizionata al manifestarsi di una consolidata situazione di crescita economica e non viceversa. In questo caso, cambiando l’ordine dei fattori, il risultato muta radicalmente; la costruzione del Ponte in uno scenario di economia stagnante e di declino demografico si tradurrà, con elevata probabilità, in un’altra cattedrale nel deserto.

***

* Francesco Ramella, laurea in ingegneria meccanica, dottorato di ricerca in Trasporti al Politecnico di Torino. Insegna “Trasporti” all’Università di Torino. Dal 2016 al 2019 è stato consulente della Struttura Tecnica di Missione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. È direttore esecutivo di Bridges Research e research fellow dell’Istituto Bruno Leoni e di IREF.

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