Rapporto Ocse 2023: l’occupazione aumenta. La disoccupazione cala: siamo al 7,6%, due punti in meno rispetto a quanto registrato prima della pandemia. Le cose vanno meglio? No. Questi numeri (di cui il governo continua a fare sfoggio in ogni occasione) sono comunque “significativamente più alti” rispetto alla media OCSE (che si ferma al 4,8%).
In secondo luogo perché anche il dato sugli occupati, sebbene in aumento, è in percentuale inferiore di quasi 9 punti rispetto alla media OCSE (61% contro 69,9% nel 1° trimestre 2023). Ma, soprattutto, perché in Italia “i salari fissati dai contratti collettivi sono diminuiti in termini reali di oltre il 6% nel 2022“. Secondo l’Ocse, per contrastare questa tendenza c’è bisogno che venga approvato e introdotto il salario minimo legale.
Il calo delle retribuzioni è stato definito dagli esperti “particolarmente significativo” soprattutto se si considera che, a differenza di altri Paesi, la contrattazione collettiva dovrebbe coprire, in teoria, tutti i lavoratori dipendenti italiani.
“L’Italia è il Paese che ha registrato il calo dei salari reali più forte tra le principali economie. Alla fine del 2022, i salari reali erano calati del 7% rispetto al periodo prima della pandemia. La discesa è continuata nel primo trimestre del 2023, con una diminuzione su base annua del 7,5%”. E questo a prescindere dai dati dell’occupazione”.
I dati vengono dal rapporto OCSE 2023, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (di cui fanno parte 38 Paesi, tra cui l’Italia). Secondo le proiezioni in Italia i salari nominali aumenteranno del 3,7% nel 2023 e del 3,5% nel 2024, mentre l’inflazione dovrebbe attestarsi al 6,4% nel 2023 e al 3% nel 2024.
Il rapporto sottolinea che l’impennata dei prezzi – che si attribuisce in maniera determinante all’aggressione russa dell’Ucraina – non è stata accompagnata in pratica in nessun Paese da una crescita dei salari. La conseguenza si riflette su quelli che vengono definiti salari reali: diminuiti in media del 3,8%.
A pagare sono le famiglie più in difficoltà la cui riduzione del potere d’acquisto si è tradotta in una “minore capacità di far fronte all’aumento dei prezzi attraverso il risparmio o l’indebitamento”.
In altre parole, i profitti delle aziende sono cresciuti più rapidamente dei salari quasi ovunque, contribuendo in modo significativo all’aumento dei prezzi e causando una riduzione della parte di reddito destinata ai lavoratori. Nonostante gli interventi governativi a sostegno, questa situazione crea gravi problemi ai lavoratori a basso reddito.
A differenza di coloro che dispongono di risparmi o possono accedere al credito, infatti, i lavoratori a basso reddito hanno meno margini di manovra per far fronte all’aumento dei prezzi e spesso subiscono un’inflazione effettiva più alta, poiché destinano una quota maggiore del loro reddito all’energia e all’alimentazione.
La soluzione? E’ quella a cui pensano tutti ed è la più banale: aumentare i salari. “Diverse leve – scrive l’OCSE – possono essere attivate per limitare l’impatto dell’inflazione sui lavoratori e garantire un’equa ripartizione dei costi tra poteri pubblici, imprese e lavoratori. Il mezzo più diretto per aiutare questi ultimi è quello di aumentare i loro salari“. Poi, quella che sembrerebbe una stoccata all’Italia: “Aumentare i salari, compreso il salario minimo legale che è fissato dallo Stato“.