venerdì 22 Novembre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

GIU’ LE MANI

Una storia che pare uscita dalle cronache della conquista del West: dove i pionieri, o la ferrovia, arrivavano, nasceva una cittadina, il drugstore, il saloon, il bordello e un giornale, insieme e qualche volta prima dello sceriffo e del dottore. Accade nella Contea di Marion, a nord di Wichita, in Kansas: lì, da 154 anni esce il Marion County Record, un settimanale che diffonde circa 4000 copie a numero – mica poche, visto che il capoluogo fa solo 2000 abitanti. La storia ce la racconta su professionereporter.eu Giampiero Gramaglia uno dei più attenti e documentati giornalisti sulle vicende americane e non solo d’oltre Atlantico.

Il Record, un’azienda di famiglia, è l’inatteso protagonista di uno scontro sul rispetto della libertà d’espressione garantita dalla Costituzione che vede mobilitati anche i grandi media nazionali, dopo che le forze dell’ordine hanno perquisito la sua redazione e sequestrato computer e telefonini, server e modem. S’è aggiunto un tocco di dramma: il giorno dopo l’irruzione degli agenti, l’anziana madre di uno degli editori è morta, stroncata – s’è detto – a 98 anni dall’emozione e dal trambusto.

Sono state pure perquisite, l’11 agosto, la casa di uno dei co-proprietari e la residenza d’una consigliera comunale. Pochi giorni dopo, il 16 agosto, un giudice ha ordinato la restituzione del materiale sequestrato, non avendo riscontrato elementi che giustificassero l’iniziativa da parte della polizia.

La perquisizione della sede di un organo di stampa – scrive Gramaglia – è estremamente rara negli Stati Uniti. L’irruzione ha avuto un’eco nazionale negli Stati Uniti. I grandi media, dall’Ap alla Cnn, dal New York Times (la cronaca sul sito) al Washington Post, se ne sono occupati e se ne occupano; perfino la Casa Bianca fa sapere di seguirlo da vicino.

Kevin Draper ha scritto sul Nyt: “Il Marion County Record è diventato una causa in primissimo piano del Primo Emendamento dopo che agenti di polizia e vice dello sceriffo hanno fatto irruzione nella sua redazione , un evento incredibilmente raro nel giornalismo americano. Le autorità hanno sequestrato computer e telefoni, in quella che hanno definito un’indagine su furti di identità e crimini informatici.

Reporter e telecamere sono scesi in città per coprire le perquisizioni, che hanno avuto luogo anche a casa del direttore e di una consigliera, e sono state duramente condannate dalle testate giornalistiche e dai sostenitori della libertà di stampa. Mercoledì, il pubblico ministero locale ha restituito i dispositivi elettronici, affermando di aver stabilito che non esisteva un “nesso giuridicamente sufficiente” per giustificare le perquisizioni”.

La vicenda, quindi, pone questioni costituzionali e suscita proteste per abuso di autorità che hanno attraversato tutta l’Union. Una mobilitazione mediatica per dire giù le mani dal Primo Emendamento.

Secondo Eric Meyer, co-proprietario e co-editore della testata, la perquisizione era stata innescata da un articolo su un imprenditore, Kari Newell, che avrebbe cacciato da un suo esercizio lo stesso Meyer e una cronista che stava raccogliendo informazioni su una soffiata secondo cui Newelll guidava senza patente.

L’imprenditore Newell sostiene che il Record ha illegalmente usato le sue credenziali per ottenere informazioni che dovevano essere disponibili solo a forze dell’ordine, investigatori privati e compagnie assicurative. La polizia si limita a riferire di stare lavorando su un caso di “furto d’identità”.

Ma pare che non corresse buon sangue neppure tra il nuovo sceriffo, Gideon Cody, e un’altra cronista del Record, Deb Gruver, che aveva avuto informazioni sui suoi trascorsi professionali poco brillanti. Ad aprile, una telefonata fra i due s’era conclusa in modo burrascoso.

L’azione della polizia è comunque apparsa, a molti importanti media Usa, sproporzionata. Se Meyer afferma che “non s’è mai visto nulla del genere, mai in America”, lo sceriffo dice che molto deve ancora saltare fuori. Ma Meyer non intende mollare né il giornale né la notizia: “Non lasceremo che una tradizione di 154 anni di pubblicazioni settimanali svanisca solo perché qualche poliziotto ci ha fatto questo”.

PERCHE’ L’ATTACCO AL PICCOLO SETTIMANALE? L’attacco avviene – notano i grandi quotidiani – mentre il declino dei giornali Usa locali attenua l’attenzione delle autorità. Inoltre, politici estremisti a destra e a sinistra attaccano i media perché non dicono la verità, nella scia di quanto fa da anni Donald Trump: secondo lui, la stampa “è nemica del popolo”.

LA PREOCCUPAZIONE DEI MEDIA. La svolta demagogica in atto da anni nella politica statunitense potrebbe innescare minacce per la libertà di stampa e la libertà di espressione, proprio nel momento in cui, quasi per assurdo, i sostenitori di Trump invocano il primo emendamento per denunciare come infondate le accuse mossegli di avere sobillato con i suoi proclami la presa del Campidoglio l’11 gennaio 2021.

La Freedom of the Press Foundation ritiene che l’irruzione della polizia nella sede del Record violi la legge e sia “l’ultimo esempio di come le forze dell’ordine minaccino la stampa negli Usa in modi in passato associati a regimi autoritari”.

La stampa americana, in ogni caso, non dimostra di essere paragobile a quella italiana. Lì la libertà di stampa e il secondo emendamento alla Costituzione sono difesi strenuamente. E da noi? Solidarietà a un piccolo giornale? Neanche a parlarne.

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