venerdì 22 Novembre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

SCUOLA / I tutor e gli orientatori indicheranno i nuovi proletari

Il 15 settembre prenderà avvio il nuovo anno scolastico. Un inizio insolito, di venerdì. Forse perché, facile prevederlo, non pochi genitori faranno saltare ai figli il primo giorno di scuola e sfruttare l’ultimo weekend dell’estate, da venerdì a domenica 17, complice il bel tempo. Sembra un regalo confezionato su misura per l’industria in affanno del turismo.  La situazione che insegnanti, studenti e famiglie si ritroveranno a vivere sarà, comunque, molto diversa da quella degli anni passati.

Nel silenzio di istituzioni, sindacati e organi di informazione sta per entrare in vigore l’ennesima, distruttiva riforma della scuola italiana, con un impatto superiore perfino alla “Buona Scuola” di Renzi. Pianificata dal governo Draghi e fatta propria dal governo Meloni, fa parte a tutti gli effetti del PNRR.

La riforma si è resa indispensabile dopo la pandemia, senza che nessuno però abbia mai spiegato il perché. Si compone di quattro nuovi pilastri introdotti con il probabile scopo di poter abbattere tutti gli altri, resi inutili. È un’operazione portata avanti senza clamore con interventi normativi allegati a semplici decreti-legge, senza il vaglio parlamentare o un vero dibattito pubblico. Vale a dire con mezzi (e finalità) palesemente incostituzionali.

TANTI COMPUTER

Il primo “pilastro” riguarda l’iniezione in 100mila aule di tecnologia di ultima generazione: device informatici personalizzati, schermi multifunzione, intelligenza artificiale, realtà aumentata, stampanti 3D e tutto ciò che la tecnologia mette a disposizione.  Le scuole sono già state invitate dal Ministero dell’Istruzione e del merito a fare incetta degli strumenti hi-tech, peraltro senza un’analisi delle dotazioni che ciascuna scuola possedeva già.

DALLA FORMAZIONE AL LAVORO

Il lavoro sarà il la nuova finalità per i nostri figli. Con un sospetto sorto nella mente di non pochi insegnanti ed educatori: la scuola diventerà una parte non secondaria della riforma del lavoro, sollevando le aziende dall’onere di selezionare e formare il personale. Prima curiosa domanda: e se il mercato del lavoro dovesse cambiare nel corso degli anni, che facciamo? rimandiamo sui banchi migliaia di ex studenti oppure, com’è più facile e immediato, li espelliamo dal nuovo corso dell’organizzazione produttiva?

La seconda grande novità, e qui occorre prestare molta attenzione sui rischi che si corrono, è l’introduzione nella scuola superiore di primo e secondo grado di due nuove figure di insegnanti: il docente Orientatore e il docente Tutor. Il primo avrà il compito di aiutare lo studente nella scelta (in verità molto precoce) della futura professione; il secondo, di consigliarlo nei percorsi di apprendimento ad essa più adeguati.

Nella nuova Scuola, mettetevi l’animo in pace, non tutti studieranno le stesse materie o nello stesso modo, ma ogni studente seguirà un iter di apprendimento personalizzato volto a fargli conseguire le conoscenze e le abilità specifiche per la sua futura professione.

Il professor Marco Bonsanto esprime su Micromega (https://www.micromega.net/) concetti condivisibili e al riguardo osserva che l’orientatore e il tutor sono “gli imbonitori di una scuola pubblica che promette libertà di scelta didattica alle famiglie e un’expertise psicologica agli studenti disorientati. I due nuovi docenti dovranno operare negli anni una vera e propria profilazione lavorativa dello studente e, di fatto, un plagio delle sue aspirazioni. Col tempo esproprieranno il Consiglio di Classe della prerogativa di condurre in modo concertato il progetto formativo relativo allo studente e di valutarne progressi o ritardi secondo l’attuale prassi pedagogica che mira alla globalità della persona. Sarà di fatto conferito loro il potere di limitare la libertà d’insegnamento altrui per implementare una pluralità di percorsi differenziati nelle stesse classi, un patchwork ritagliato sulle esigenze delle aziende e di famiglie blandite nell’illusione di potersi finalmente sostituire a quei docenti ritenuti incapaci di comprendere le potenzialità dei loro figli, i loro nascosti “meriti”.

Qui si il gioco si fa pesante perché ci rimanda alle strategie. Il riformatore della scuola italiana, che possiamo individuare nella triade Draghi-Meloni-Valditara, vuole in pratica introdurre esperti nella risoluzione di un problema che richiede capacità, conoscenze e strategia – ho dovuto far ricorso  al manuale di Michael Eysenck e Mark Keane “Psicologia cognitiva” per avere qualche idea al riguardo – e che costituiranno il bagaglio da cui lo studente attingerà le risorse, ogniqualvolta dovrà affrontarlo e risolverlo.

Il concetto si basa sull’importanza della pratica, strumento che rende in teoria perfetta l’azione di un individuo. I soggetti esperti – cito sempre Eysenck e Keane – sono in grado di ricordare meglio, usano diverse strategie di problem solving (soluzione del problema), si trovano in una posizione superiore rispetto agli altri grazie alla conoscenza acquisita attraverso l’esperienza e diventano tali per mezzo del continuo esercizio.

Ma, c’è sempre un ma, pesante come un macigno. Diversi studiosi, infatti, invitano ad avere una posizione critica verso l’expertise, introducendo le variabili del caso e della fortuna nel successo lavorativo. Fra gli aspetti più criticati c’è quello riguardante l’expertise teorica e legata alla capacità di previsione. Come dice Nassim Nicholas Taleb, matematico dell’incertezza e umanista, il concetto stesso di esperto dell’incertezza è un paradosso fuorviante, vista la cecità della struttura neuropsicologica umana nei confronti dell’incertezza.

Leggendo i passaggi della riforma non si può non notare la scarsa attenzione del legislatore e dei governanti verso la scuola, ormai diventata il luogo dove confluiscono gli interessi di troppe lobby, non soltanto economiche. Interessi che fanno strame del sapere, della conoscenza e della formazione di una personalità istruita e responsabile. A molti, purtroppo, servono giovani lavoratori già pronti per la fabbrica. La scuola, tutta la scuola, è concepita in pratica come un enorme istituto professionale del futuro.

Chi ha già risolto in partenza il problema del lavoro  e della sistemazione non avrà avuto bisogno dell’orientatore e del tutor: c’è la famiglia, c’è l’ambiente in cui vive a consegnarli il passaporto necessario, che non sempre è un diploma di una scuola pubblica.

L’augurio che possono fare a questo punto coloro che continuano a credere nella scuola come grande e insostituibile formatore di cittadini istruiti e responsabili è che presto orientatori e tutor vengano mandati via dalle aule. Altrimenti, nel giro di pochi anni, sia gli insegnanti, sia le famiglie non conteranno che nulla nel futuro degli studenti e dei nostri figli.

DIFESA DEL MERITO

E’  il terzo pilastro della riforma, come del resto strombazza la propaganda del governo Meloni. Ha la pretesa di misurare la capacità didattica dei docenti, fingendo di non sapere che ad insegnare si arriva vincendo concorsi per titoli ed esami. In realtà, è fin troppo chiaro quale siano le vere finalità di questo sbandierato progetto di valorizzazione del merito. “In primo luogo – ci sovviene ancora il professor Monsanto – acquisire un’arma di ricatto contro quella libertà professionale dei docenti (articolo 33 della Costituzione), che nel quadro attuale costituisce un ostacolo insormontabile alla rimodulazione indotta del loro insegnamento. Alla condizione di assoggettamento etico e professionale degli insegnanti cui mira la riforma si arriverà probabilmente correlando al merito lo stipendio, il punteggio interno alla scuola e quello esterno per i trasferimenti. In secondo luogo, spingere gli insegnanti a divenire organici alla riforma stessa: con quelli “contrastivi” relegati in fondo alla graduatoria, essere docenti “meritevoli” significherà né più né meno che assecondare in modo acritico la visione sociopedagogica che essa sottende”.

STRAVOLGIMENTO DELLE FINALITA’ EDUCATIVE

Il quarto pilastro della riforma stravolge le finalità educative, reindirizzate e rimodulate in favore della transizione digitale pilotata in Occidente dalle BigTech statunitensi. Le finalità umanistiche e “liberali” dei tradizionali curricoli scolastici lasceranno il posto a quelle utilitaristiche della formazione tecnologica, funzionale alla creazione di un vasto proletariato. E i docenti dovranno adeguarsi ai tempi, adattando la loro didattica agli strumenti e alle finalità delle nuove onnipresenti tecnologie informatiche.

Inseriti in un sistema europeo di riconoscimento delle competenze digitali, saranno valutati (e domani stipendiati) secondo una precisa scala di bravura, con tanto di titolo distintivo: A1) Novizio; A2) Esploratore; B1) Sperimentatore; B2) Esperto; C1) Leader; C2) Pioniere. In altre parole, non saranno più riconosciuti come professionisti tutti ugualmente “sapienti” nelle loro materie, ma incardinati in una gerarchia di valore (e di diritti) di natura tecnica, che confonde i fini del loro lavoro con gli strumenti utilizzati per conseguirli. (piero di antonio)

 

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