“Ho pensato molto prima di scrivere questa lettera, del resto ormai non va più di moda, meglio un like o un emoticon, più sbrigativa per rendere un pensiero e più “moderna”, più al passo con i tempi.
Però, quando si ha bisogno di esprimere delle emozioni forti e vere, pigiare un tasto non basta, ragion per cui mi ritrovo ad inviarvi questo mio sfogo che vuole avere semplicemente il valore di esprimere a voce alta i miei pensieri. Non sono una donna molto “social”, un po’ per l’età (ho 45 anni) quindi per l’appartenenza ad un’altra generazione, ma tanto e soprattutto perchè conosco molto bene le “insidie” che possono celarsi dietro ad uno schermo. Proprio per questo ho sempre evitato accuratamente di inoltrarmi in discussioni virtuali che causano spesso incomprensioni non potendo guardare le espressioni con cui si dicono alcune cose, i toni, gli atteggiamenti.
Ma qualche giorno fa, non so in preda a quale impeto, ci sono “caduta” dentro. Probabilmente dato il tema delicato trattato da uno dei vostri articoli che tanto mi sta a cuore. E allora, con l’istinto che spesso ci contraddistingue, ho commentato, sulla vostra pagina, in mezzo a tanti, con una semplice parola. Una parola soltanto, che ho ritenuto riassumere il mio personale pensiero. In un mondo in cui si lotta tanto per la libertà di opinione ho ritenuto (erroneamente) che il mio pensiero sarebbe stato si, oggetto di reazioni, ma al pari di tanti altri. Mi sono sbagliata enormemente. L’ho capito subito già dalle prime parole che mi sono state vomitate addosso con una rabbia riconoscibile immediatamente, da parte di un’altra donna.
Per l’educazione che mi contraddistingue ho provato a dare le mie spiegazioni sebbene le ritenessi non dovute. Ma e’ stato un crescendo, nonostante mi fossi limitata, con garbo e gentilezza, a chiarire quanto poteva essere frainteso. Ora, non sono qui per disquisire sul tema argomentato, ma semplicemente per esprimere l’amarezza provata. Vedere come le persone non siano in grado di esprimere i propri sentimenti con toni pacati e senza offese, percepire la rabbia che campeggia in molti, sopportare la maleducazione, subire l’aggressività quasi come fosse sempre una gara in cui qualcuno a suon di parole debba risultare vittorioso, mi ha lasciato dentro un senso di profonda tristezza che, a malincuore, mi accompagna da giorni. Ma cosa siamo diventati?
Non credo che per far valere le proprie idee si debba sbraitare, né quando ci si trova faccia a faccia con qualcuno, né virtualmente. Non credo che per esprimere il proprio pensiero si debba maltrattare quello degli altri. Le discussioni dovrebbero essere costruttive e non distruttive. Il confronto dovrebbe incuriosire e non allontanare. Perché si ha sempre da imparare se ascoltiamo e poiché la nostra libertà finisce dove inizia quella dell’altro.
Vorrei poter vivere in un tempo in cui ognuno di noi, prima di attaccare pensasse che dietro ogni persona c’e’ una storia ed e’ proprio quella storia ad aver partorito i pensieri e le opinioni che ci portiamo dietro. Vorrei poter vivere in un tempo in cui quand’anche si cadesse nell’errore, umanissimo per carità, offendendo o umiliando l’altro, si riuscisse poi a chiedere scusa. Vorrei poter vivere in un tempo in cui non fosse necessario sfogare sugli altri le proprie frustrazioni. Vorrei poter vivere in un tempo in cui non risultasse divertente deridere un essere umano, prevaricarlo, aggredirlo.
Un tempo in cui ricordassimo di chi siamo figli e diffondessimo amore piuttosto che zizzania, comprensione piuttosto che intolleranza, rispetto piuttosto che vilipendio. E’ per questo che vi sto affidando i miei sentimenti affinché qualcuno possa provare a dar voce alle anime che, come me, credono ancora che tutto questo sia possibile se solo ci impegnassimo un po’ di più a riflettere prima di agire.
Come dice una nota canzone “credo negli esseri umani che hanno il coraggio di essere umani”. In una pagina così seguita come la vostra magari potremmo dare uno spunto di riflessione affinché possa capitare sempre meno ciò di cui sono stata vittima, affinché al mio posto non si debbano più trovare milioni di ragazzini indifesi e senza esperienza, affinché chi si riconosca dall’altra parte possa trovare l’umiltà di chiedere perdono.