Tra Italia e Spagna è in corso da anni una sfida, non solo sportiva. Uscita dalla dittatura franchista nel 1977, la Spagna ha cominciato a inanellare risultati su risultati imponendosi come uno dei Paesi a più alto grado di sviluppo, non soltanto in Europa. Basti pensare al turismo e agli ambiziosi progetti del Pnrr. Nicola Perrone dell’Agenzia giornalista Dire ha analizzato i differenti modelli di sviluppo, uno improntato a una visione progressista e innovatrice, l’altro al conservatorismo.
di Nicola Perrone *
— Da un lato la battaglia dei Conservatori di Giorgia Meloni, dall’altro il socialismo democratico e riformista dello spagnolo Pedro Sanchez. Stando ai numeri, non c’è partita. L’Italia arranca, la Spagna corre veloce. Il problema principale, forse, sta nell’impostazione ideologica di chi governa. In una lunghissima intervista al settimanale Tempi, Giorgia Meloni è partita rivendicando in pieno la sua impostazione: “Essere conservatori significa difendere ciò che siamo, ciò che di buono e di prezioso ci è stato tramandato dai nostri padri e che dobbiamo saper accompagnare nel futuro. Non c’è niente di reazionario o di pericoloso in questo. Anzi, è l’esatto contrario”.
E insiste: “… Diamo fastidio a chi vorrebbe omologare tutto, e trasformare ognuno di noi in un consumatore perfetto, in ‘vuoti a rendere’…Per paradosso, sono i conservatori i veri rivoluzionari della nostra epoca. Perché mai come in questo tempo sei rivoluzionario se ti definisci patriota e vuoi difendere l’interesse nazionale prima di ogni altra cosa, se credi che la vita vada difesa a qualunque costo e se sei convinto che la famiglia sia il nucleo fondamentale della società e che fare un figlio non ti limiti ma ti dia tantissimo. Penso che siamo una speranza, perché abbiamo dato finalmente voce a una maggioranza silenziosa che ha sempre creduto in questi valori e in queste idee ma che non era rappresentata”. Comunque lo giri, un discorso difensivo, teso a chiudere tutto e tutti nel fortino Italia.
Alla fine, sbagliato, perché è illusorio pensare che il nostro Paese possa farcela da solo, talmente forte da poter piegare tutti gli altri agli interessi di casa nostra. Forse la Premier cerca di allontanare l’attenzione dai primi scricchiolii che si avvertono nella coalizione di Centrodestra. Salvo sconquassi resteranno al Governo fino all’ultimo minuto possibile, ma è chiaro che sia la Lega di Salvini che Forza Italia di Tajani per sopravvivere hanno bisogno, ormai ogni giorno, di marcare la differenza, di sottolineare quello che preme a loro come partito rispetto alla maggioranza di governo. E questi distinguo alla fine creeranno dei contraccolpi, anche perché la leader di Fratelli d’Italia non ha nessuna intenzione di farsi ridimensionare, anzi. Contrattacca. Soprattutto sul tema dei temi caro ai leghisti, l’Autonomia differenziata, la premier Meloni, con parole tranquille, la rimanda alle calende greche, a data inesistente: “…Noi stabiliamo una precondizione che in questi oltre vent’anni nessuno aveva avuto il coraggio di definire.
Parliamo dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep), cioè dei servizi che dovranno essere garantiti territorio per territorio… Quali sono i livelli qualitativi e quantitativi minimi di prestazioni da garantire per non avere cittadini di serie A e di serie B. Solo dopo che verrà fissata questa soglia potrà essere accordata l’autonomia alle Regioni che ne faranno richiesta. I Lep sono stabiliti e finanziati dallo Stato e nessuna Regione può violarli…”.
Per chi ha qualche annetto e ne ha viste alcune, beh, campa cavallo. Senza contare che le opposizioni hanno già raccolto più delle firme necessarie e che su questo ci sarà anche un referendum abrogativo. Anche Forza Italia ha bisogno di emergere, di riconquistare più spazio vitale. Già in atto la campagna acquisti per accaparrarsi esponenti (e voti) di altre forze politiche. Posizionarsi più al Centro, diventare calamita per ogni moderato sperando di tornare così ad essere indispensabili per formare qualsiasi maggioranza, e non più condannati a stare solo con la destra. E veniamo agli spagnoli.
A proposito della storia passata, negli ultimi cinquant’anni la storia politica della Spagna ha subito trasformazioni epocali. Morto il dittatore Francisco Franco il paese si è avviato a velocità sostenuta verso la piena democrazia. Decisi, visto che solo nel 1977 i cittadini hanno partecipato a libere elezioni.
Venendo ai giorni nostri, con una storia comune europea, mentre l’Italia arranca, a livello economico la Spagna guidata dal socialista Sanchez galoppa, con il Pil che cresce a livelli che noi nemmeno sogniamo: i loro dati segnano per fine anno un 2,9% rispetto al nostro misero quasi 1%.
Qual è il segreto? Guardare all’oggi senza paraocchi, misurandosi con le sfide del momento avendo il coraggio di trovare anche soluzioni che possono all’inizio sembrare controproducenti. La Spagna sta scommettendo già da adesso sulla transizione energetica, poche chiacchiere e molti fatti. Pannelli, pale eoliche, idro….lo scorso anno il 51% dell’energia elettrica consumata dal paese è stata prodotta grazie a fonti rinnovabili. Grazie agli immigrati, inseriti nel processo produttivo, la Spagna ha registrato una popolazione in crescita e non in calo come in Italia che tra il 2020 e oggi è scesa di un milione.
Le buste paga basse sono state equilibrate da riforme sociali, a partire dal reddito di cittadinanza e una riforma del lavoro che ha drasticamente ridotto il precariato nei contratti. Misura all’inizio contrastata dal mondo imprenditoriale e che alla fine, invece, hanno portato ai risultati straordinari di oggi salutati ora da tutti con fervore. Un aiuto ai conti pubblici è arrivato anche dalla tassa di solidarietà sugli extraprofitti di società energetiche e banche (mi ricorda qualche chiacchiera qui da noi), ben tre miliardi di euro a disposizione per servizi ai cittadini. E noi pensiamo ai padri pensionati, il nostro futuro è storico.
* Agenzia Dire