lunedì 25 Novembre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

FAMIGLIE / Al primo figlio, 61mila padri e madri hanno lasciato il lavoro

Tenere in piedi una famiglia di questi tempi è arduo e faticoso. Il fenomeno che sta alla base di questo vivere si chiama “work life balance” e indica, prosaicamente, il tentativo quotidiano che vive ogni lavoratore nel tenere in piedi una famiglia, il lavoro, gli impegni dei figli (quando ci sono) e, se possibile, la propria sanità mentale. Non sarebbe estranea a questa situazione, secondo gli studiosi,  la sindrome di bornout o “sindrome da esaurimento da lavoro”, una condizione di esaurimento emotivo, depersonalizzazione e derealizzazione personale derivante dallo stress dovuto alle condizioni di lavoro e a fattori della sfera personale e ambientale.

Lo stress – dicono gli pisicoterapeuti – si trasforma in un meccanismo di difesa e una strategia di risposta alla tensione, con comportamenti di distacco emozionale, difficoltà di adattamento ai cambiamenti e nell’affrontare le conseguenze che l’evento stressante comporta, con sensazioni di maggiore vulnerabilità e peggioramento della qualità della vita.

LA GREAT RESIGNATION. Uno stress quotidiano, nato da un mix micidiale di ansie che si ripercuotono anche sulla stanchezza fisica, che porta il 46 per cento dei genitori ad accarezzare quotidianamente il pensiero delle dimissioni. Gli inglesi, anche in questo caso, hanno il termine pronto all’uso: “Great Resignation”, ossia quella grande rassegnazione, che ha preso piede specialmente durante la pandemia, tra i lavoratori che iniziano a non sostenere più i ritmi inconciliabili di vita personale e occupazione.

Il fenomeno è ben fotografato anche dal Censis secondo cui per il 62,7% degli italiani il lavoro non rappresenta la preoccupazione principale nella vita e, inoltre, per l’80% dei lavoratori non vale la pena il sacrificio degli interessi personali che il lavoro ha comportato in passato, a discapito del proprio benessere.

Una recente ricerca pubblicata su People Management ha inoltre evidenziato che ben il 46% dei genitori ha lasciato il proprio lavoro nell’ultimo anno o sta prendendo in seria considerazione le dimissioni. In particolare, il 40% degli intervistati pensa di lasciare il proprio impiego perché trova difficile bilanciare i propri impegni lavorativi e famigliari, con una propensione maggiore dei più giovani, di età compresa tra i 25 e i 34 anni (45%), e delle madri (46%).

Il dato è confermato anche nel nostro Paese, dove, stando a quanto riporta l’Ispettorato del Lavoro, sono state convalidate ben 61.391 dimissioni di padri e madri nel 2022 (+17,1% rispetto all’anno precedente). La maggior parte di queste sono state rassegnate entro i primi tre anni dalla nascita dei propri figli e perlopiù da giovani di età compresa tra i 29 e i 44 anni (79,4%) e donne (72,8%), attribuendo la causa a una sempre più accentuata difficoltà nel conciliare lavoro e vita privata (63%).

A lasciare il lavoro sono in prevalenza lavoratori in attesa del primo figlio o che hanno un solo figlio. Si tratta, ormai, in un Paese caratterizzato da una feroce denatalità, di rispondere alle sfide legate alla genitorialità sul luogo di lavoro, promuovendo politiche e culture aziendali più inclusive e favorevoli alla famiglia.

Una delle molteplici e possibili soluzioni, proposta da società che si occupano di servizi per le aziende, potrebbe innanzi tutto essere quella di aprire presso le proprie sedi uno sportello di aiuto alla genitorialità dove fornire aiuti per gli step burocratici da seguire per esempio per la richiesta di bonus, la presentazione della documentazione, il congedo obbligatorio/facoltativo.

“In particolare, 9 donne su 10 avrebbero voluto ricevere più informazioni sia da parte delle istituzioni, che attraverso i siti web degli enti preposti offrono spesso notizie poco comprensibili o non esaustive (il 40% richiede infatti una maggiore chiarezza), sia da parte delle aziende”, spiegano. Non può infatti passare inosservato che nelle imprese dove è presente un ufficio risorse umane, le lavoratrici non abbiano ricevuto alcun supporto da parte di quest’ultimo nel 53% dei casi.

Ecco perché nelle stesse aziende si sta affermando la figura del People Management. Ciò è particolarmente evidente alla luce dei recenti cambiamenti nel mercato del lavoro post Covid. Questa crescente importanza può essere attribuita a una serie di fattori convergenti che hanno trasformato il panorama delle risorse umane.

Innanzitutto, il mercato del lavoro post-pandemia si è rivelato estremamente competitivo, con molte aziende che si trovano a cercare talenti altamente qualificati in settori come la tecnologia, la sanità e il lavoro a distanza. Di conseguenza, le aziende devono prestare molta attenzione alla gestione delle loro risorse umane al fine di attrarre, trattenere e sviluppare il personale di cui hanno bisogno.

Inoltre, la crescente complessità delle operazioni aziendali richiede una gestione del personale più sofisticata. Le organizzazioni si trovano ad affrontare sfide complesse, come la digitalizzazione, la globalizzazione e i cambiamenti rapidi nei modelli di business, che richiedono un approccio più attento e strategico alla gestione delle risorse umane. In questo contesto, il People Management svolge un ruolo cruciale nel garantire che le competenze, le conoscenze e le abilità dei dipendenti siano allineate con gli obiettivi aziendali.

L’aumento del lavoro a distanza è un altro fattore che ha reso il People Management ancora più essenziale. Con un numero crescente di dipendenti che lavorano da remoto, le sfide legate alla gestione delle persone si sono moltiplicate. I manager devono adattare le loro pratiche di gestione per supportare il benessere dei dipendenti, garantire la comunicazione efficace e misurare le performance in modo equo, il tutto mentre si preserva un senso di coesione e cultura aziendale.

Infine, il benessere dei dipendenti è diventato un aspetto fondamentale: le aziende riconoscono sempre di più l’importanza di creare un ambiente di lavoro sano e sostenibile, dove i dipendenti si sentano motivati, impegnati e valorizzati, ciò ha un impatto positivo sulla produttività e sulla reputazione aziendale e contribuisce a migliorare la soddisfazione dei dipendenti.

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