Una storia ferrarese? Non solo. Una storia d’Italia per la quale qualcuno ancora oggi prova nostalgia? Sì, è proprio quella storia vergognosa. Storia di talento imprenditoriale? No, anche di quando i visionari riuscivano a conciliare il successo con la solidarietà verso gli ultimi. Ve n’erano parecchi di ultimi, in quel tempo crudele. Gente alla disperata ricerca di qualcuno in alto che aprisse il cuore ai bisogni, come a una donna disoccupata, senza marito e in attesa di un figlio.
Questo il filo del racconto “Uno scialle” con cui un gruppo di studenti liceali dell’istituto parificato Smiling International di Ferrara ha vinto il terzo premio del concorso nazionale “Che storia” indetto dall’Accademia dell’Arcadia in collaborazione con varie istituzioni didattiche e culturali italiane. Premiazione a ottobre a Roma.
Uno scialle è una storia imprenditoriale e umana che sfocia nel dramma delle persecuzioni razziali a Ferrara, nel periodo in cui la città rinascimentale ospitava una fiorente comunità ebraica, una delle più importanti d’Italia che il fascismo tentò di distruggere, riuscendovi in parte.
E’ la storia di Renato Hirsch, ultimo rappresentante della dinastia che aveva fondato l’omonimo lanificio (nella foto), fiore all’occhiello di Ferrara, quando il marchio era conosciuto ovunque. Il lanificio Hirsch garantiva, in netto anticipo sui tempi, anche il welfare aziendale, ma aveva un nemico irriducibile e cinico, il regime fascista – a cui Hirsch si oppose con coraggio mai facendosi intimidire – che mal tollerava un’azienda con centinaia di dipendenti diretta da un ebreo. La fabbrica fu espropriata e Renato Hirsch fu internato. Tornato in Italia, lasciò successivamente il nostro Paese per andare a vivere in Israele, dove morì nel 1977.
Il gruppo di liceali si è messo sulle tracce di Hirsch, consultando volumi, documenti e testimonianze su quel periodo lacerante, crudele, fatto di sopraffazione, finanche di minacce lanciate dalle pagine di un giornale di regime, il Corriere Padano, e di persecuzione. Ne è venuto fuori un racconto asciutto, senza indulgenze retoriche, profondo, ben documentato e commovente, che ci rimanda una foto, oggi diremmo un video, di quegli anni terribili in bianco e nero.
Alcuni passaggi sono esemplari nella descrizione di quel periodo e della personalità di Hirsch, liberale e antifascista coraggioso. Il primo è la scoperta in soffitta di uno scialle da parte della nipotina di Adriana, la ricamatrice assunta e mai licenziata da Hirsch. Così gli otto liceali (Filippo Banzi, Agata Diletta Benini, Giulia Campi, Martina Di Stefano, Sveva Gulinelli, Santiago Mazzoni, Sofia Pinton ed Esther Visentini) raccontano quella scoperta.
«Nonno, nonno!» squilla la vocina di Adele. «Guarda che bel vestito!» (…) Un elegantissimo bruco nel suo bozzolo, mi sembrava Adele in quello scialle, le frange sparse sul pavimento all’intorno. «Ma è bellissimo! E tu una meraviglia. Lo sai che è anche un po’ magico?» «Davvero?» «È uno scialle. E tra i suoi ricami nasconde una storia. Di tanto tempo fa.» Il suo sguardo si accende, la bocca socchiusa nell’attesa. “Sai quanti anni ha? Ottantaquattro.»
A ottantaquattro anni prima risale l’incontro di Renato Hirsch con una donna timida, Adriana, che gli chiede, quasi vergognandosi, un lavoro. «Mi han sempre detto che ho delle buone mani. In effetti so ricamare di fino. Alle macchine non sono mai stata, ma imparo in fretta. È a scrivere che non son tanto buona.» «Non si preoccupi. Per quello siamo a posto. Si presenti qui domani mattina alle otto in punto. Vediamo cosa sanno fare le sue mani.» Lo sguardo di Adriana si illumina.
Un anno dopo ancora Adriana sta indugiando prima di bussare alla sua porta. «Buongiorno, signorina Guidi. Mi dica.» (…) Potrei aver scoperto una cosa importante. Su di me.» «Che cosa succede?» «Credo di aspettare un bambino.» (…).«Mi congratulo: questa è una meravigliosa notizia. Certo non sarà facile per lei, ma, se permette, potrà contare sul nostro aiuto. Questo lo sa, vero?» (…) Voglio dire, posso continuare a lavorare?» (…) «Mi spieghi perché dovrei licenziare una brava lavoratrice come lei. Avrà tutto il tempo di riprendersi, una volta nato il bambino, e tornare al lavoro le farà comodo. Non abbia fretta, poi, di svezzarlo, quando sarà: anche qui avrà modo di nutrirlo. Via Cittadella è qui a due passi. Appena sarà un poco più grande, potrà portarlo al nostro asilo. Sarà accudito, con gli altri bambini starà bene e tra colleghe vi potrete aiutare.»
Oggi: «Nonno, ma allora il signor Hirsch voleva bene alla nonna Adriana.» (…) «Le ha dato un grande sostegno. E non soltanto a lei. In tanti modi ha cercato di aiutare chi lavorava (…) era convinto che chi ne aveva la possibilità dovesse contribuire a migliorare la vita delle altre persone e aveva un alto senso della giustizia. Purtroppo questo non lo ha protetto.» I tempi peggioravano, specialmente per gli ebrei.
Da brividi il passaggio che gli studenti hanno dedicato all’internamento di Renato Hirsch. E’ il verbale del suo arresto per mano dei fascisti. Freddo, banale se si vuol citare Albert Camus o la Harendt, senza la minima concessione alla pietas e all’umanità, che sgombra la possibilità di qualsiasi concessione al perdonismo che, arrampicandosi sugli specchi, tenta di dimostrare l’indimostrabile, e cioè che “in fondo quei tempi non erano così malvagi”.
Il verbale-interrogatorio di Hirsch dimostra invece il contrario, smentisce la retorica di coloro che tentano di arrivare all’assoluzione morale e della storia aggrovigliandosi con le parole, i concetti e con le ricostruzioni di comodo. Uno scialle ci dice e ci fa vedere, a distanza di 84 anni, come una comunità con dentro i veleni dell’intolleranza e del razzismo, possa precipitare fino all’ultimo gradino della civiltà in modo impercettibile ai più. L’interrogatorio del Numero 186, il numero assegnato a Renato Hirsch, chiarisce tutto, ma, in special modo, ci impone di tenere ancora occhi aperti e mente vigile.
«Numero 186. Cognome e nome».
«Hirsch Renato»
«Paternità e maternità»
«Hirsch Carlo e Pesaro Almerinda»
«Luogo di nascita»
«Ferrara»
«Data di nascita.»
«23 febbraio 1889.»
«Luogo di matrimonio»
«Parigi»
«Data di matrimonio.»
«15 gennaio 1911»
«Matrimonio ebraico o misto»
«Ebraico»
«Cognome e nome del coniuge.»
«Levi Rachele»
Lanificio confiscato.
Hirsch internato.
PdA