Orrore in un kibbutz a pochi chilometri dal confine di Israele con la Striscia di Gaza. I duecento abitanti sono statii massacrati dai terroristi di Hamas, tra i quali quaranta bambini e neonati con la testa decapitata. Un militare israeliano: “Uno scempio mai visto”.
La scena che si è presentata davanti ai militari dell’esercito israeliano è apocalittica. I militari continuano a portare via i corpi, attorno a loro case bruciate, mobili distrutti e auto date alle fiamme. L’eccidio è di tre giorni fa, ma solo oggi l’esercito ha permesso alla stampa di visionare la zona dell’assalto.
“Non è una guerra, non è un campo di battaglia, è un massacro”, il grido del generale di Divisione Itai Veruv. Il bilancio non è definitivo. “Un orrore inimmaginabile”, taglia corto l’emittente I24News, che ha potuto visionare il sito, “Si sente odore di morte”.
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Sono una cinquantina gli ostaggi israeliani in mano ad Hamas che ha lanciato un uiltimatum: Israele deve abbandonare entro le 17 di oggi la città di AshKelon. Lo hanno comunicato fonti di Tel Aviv. Nel frattempo l’esercito israeliano ha intensificato gli attacchi nella Striscia di Gaza.Ogni quattro ore partono i raid. Aumenta il numero dei morti palestinesi. sarebbero più di 1.500 i terroristi di Hamas uccisi. Intanto, la stampa israeliana chiede le dimissioni del primo ministro Netanyahu.
Prime polemiche sulla crisi in Medio Oriente. La Francia non condivide la decisione della Commissione Europea di sospendere gli aiuti e i programmi umanitari all’Autorità nazionale palestinese.
In Italia nessuna risoluzione unitaria del Parlamento sulla crisi in Medio Oriente. Dopo le trattative tra i partiti, la maggioranza di centrodestra ha deciso di presentare un proprio testo autonomo. Il Pd ha replicato chiedendo un ripensamento.
Nella risoluzione sostenuta dalla maggioranza si ribadisce che “il governo è impegnato “ad agire per evitare che arrivino fondi a Hamas – attraverso canali istituzionali, organizzazioni internazionali o privati – che vengano utilizzati per finanziare attacchi terroristici e incitare all’odio verso Israele; a sviluppare un’azione diplomatica con i principali partner e attori regionali per evitare l’escalation militare.
Per il Pd è intervenuto il responsabile Esteri, Giuseppe Provenzano. “Il diritto ad esistere e vivere in sicurezza dello Stato di Israele per noi è scolpito nelle tavole sacre della civiltà occidentale, risorte dalle ceneri del nazifascismo”, ha esordito, ricordando però che “l’attacco di Hamas ha fatto anche un’altra vittima, il popolo palestinese, già colpito da miseria e lutto. Non possiamo far passare l’equazione Hamas uguale palestinesi”, ha incalzato.
“Che vi sia la mano del regime iraniano è un fatto notorio e palese e che vi fosse l’interesse di Hamas a dare un colpo definitivo all’Autorità nazionale palestinese è altrettanto chiaro. Sappiamo quanto sia necessario che Hamas venga neutralizzata nella sua capacità di attentare alla vita di Israele ma sappiamo anche che non possiamo fermarci qui. Dobbiamo impedire che il loro disegno si compiuto”.
LA CRONACA DI IERI. Ispezioni in alcune scuole italiana per verificare se effettivamente sono stati tenuti atteggiamenti antisemiti e di esaltazione dell’azione di Hamas. Se appurati, saranno denunciati alla Procura della Repubblica. A stabilirlo è stato il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, che questa mattina ha portato la solidarietà del ministero e del Governo italiano alla Scuola della Comunità Ebraica di via Sally Mayer a Milano. Gli studenti rispondono: “Terrorista è Israele”.
“In queste ore drammatiche – ha dichiarato il ministro- voglio esprimere vicinanza al popolo ebraico, vittima di un attacco brutale che richiama i metodi nazisti. Partendo dalla scuola è necessario elaborare una strategia complessiva per debellare ogni residuo di antisemitismo e promuovere la cultura del rispetto. Questo odio feroce, disumano, richiama le esperienze dei peggiori totalitarismi che hanno insanguinato e continuano a insanguinare il mondo intero.
“Non basta coltivare la memoria: occorre esaltare la centralità e la bellezza dell’essere umano, la cui esistenza è sacra e inviolabile. Saranno quindi effettuate ispezioni in quegli istituti scolastici dove sarebbero emersi atteggiamenti di odio antisemita e di esaltazione della infame azione di Hamas.
“Vogliamo verificare se qualcuno ha realmente manifestato atteggiamenti di odio, di antisemitismo o di incitamento alla guerra contro Israele. Se questi fatti venissero appurati, i responsabili saranno denunciati alla Procura della Repubblica. Chi ha gioito per azioni che hanno portato a sgozzare bambini e ragazzi, donne e uomini innocenti, solo perché ebrei, deve essere perseguito dalle leggi penali”.
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Il conteggio dei morti in Israele dopo l’attacco missilistico da Gaza da parte di Hamas è salito a circa settecento. Intanto, Hezbollah, l’organizzazione sciita, appoggia Hamas, il cui capo ha ammesso che l’attacco sferrato a Israele ha l’obiettivo di fermare il processo di pace che Tel Aviv ha avviato con l’Arabia Saudita.
Abu Obaida, nome di battaglia di un militante palestinese portavoce delle Brigate Izz ad-Din al-Qassam, l’ala militare dell’organizzazione islamista palestinese Hamas, in un video ha ringraziato l’Iran per l’aiuto e le armi fornite. Dichiarazione che getta benzina sul fuoco dei rapporti già critici tra i Paesi del Medio Oriente. Il governo di Tel Aviv conferma: “100 ostaggi nella Striscia”, tra loro tedeschi e statunitensi.
Almeno 700 vittime israeliane, oltre 2.100 feriti, più di 100 rapiti. I dispersi sarebbero 750. Nei raid di rappresaglia oltre 400 palestinesi morti, 2.300 feriti. Un numero “sostanziale” di civili e soldati sono tenuti in ostaggio a Gaza.
Israele ha proclamato lo stato di guerra e ha dislocato i tank al confine con la Striscia di Gaza. Si fa sentire anche Hezbollah, l’organizzazione sciita: “L’’intera nazione musulmana si unirà al diluvio (è il nome dell’operazione di Hamas,)” se “questa follia continuerà”. Lo ha dichiarato Hashem Safi al-Din, capo del Consiglio esecutivo di Hezbollah, in una conferenza stampa, rivolgendosi a Stati Uniti e a Israele. La loro colpa è quella di aver “superato tutte le linee” con le violazioni commesse nei luoghi sacri all’Islam.
Uno scenario inimmaginabile fino a poche ore fa, ma diventato estremamente concreto in pochissimo tempo. Questo, in estrema sintesi, rappresenta per Israele l’escalation iniziata all’alba di sabato, 7 ottobre, quando un’offensiva via terra, aria e mare è partita dalla Striscia di Gaza contro lo Stato ebraico.
L’iniziativa di Hamas ha poco a che vedere – per effetto e portata – con le precedenti escalation tra lo Stato ebraico e l’enclave costiera. Questa l’analisi che viene fatta dall’Ispi, l’Istituto per lo studio della politica internazionale.
Rischia quindi di innescare instabilità diffuse non solo a livello locale, ma anche regionale e internazionale. Quello che viene già chiamato chiamano già “l’11 Settembre di Israele” si inserisce come un cuneo nel percorso di normalizzazione tra Israele e i Paesi arabi della regione, iniziato con gli Accordi di Abramo nel 2020.
Sarebbe un errore, tuttavia, legare l’accaduto a ragioni meramente geopolitiche e legate al contesto internazionale. Le radici della crisi, probabilmente la più grave di sempre per Israele, sono da rintracciare nelle dinamiche locali, di un conflitto incancrenito e, allo stesso tempo, sempre più negletto dalle agende politiche internazionali.
Video: DOPO L’ATTACCO DI HAMAS AL RAVE DEI GIOVANI (da RaiNews)
Il leader di Hamas, Ismael Haniyya, ha esposto chiaramente la sua posizione. Interpolando versetti del Corano e citazioni legate all’Islam politico, ha messo in luce l’obbiettivo fondamentale dell’attacco portato avanti dalla sua organizzazione: interrompere il processo di normalizzazione tra Israele e le nazioni arabe.
Recentemente, è apparso evidente che l’Arabia Saudita fosse tra i prossimi paesi a instaurare relazioni diplomatiche con Tel Aviv. Per un movimento che si autodefinisce “islamico”, una tale normalizzazione, con tutte le sue implicazioni religiose, rappresenta un duro colpo, difficilmente accettabile per l’islamismo radicale.
L’Arabia Saudita, punto di riferimento per tutti i musulmani che si rivolgono verso la Mecca per pregare cinque volte al giorno e luogo natio dell’Islam, detiene una leadership indiscussa nel mondo sunnita. La decisione di Riyadh di riconoscere Israele rappresenta, per gli islamisti di Hamas, un colpo significativamente dannoso per un movimento che non ha mai celato il suo principale obiettivo: cancellare lo Stato di Israele dalla mappa. Haniyya ha ribadito tale concetto più volte nel suo discorso di ieri.
Il leader di Hamas ha anche sottolineato la vulnerabilità di Israele. Secondo Haniyya, il suo movimento ha dimostrato che Tel Aviv è notevolmente fragile, inviando un messaggio incisivo a coloro che ritenevano di poter fare affidamento su Israele come alleato per contenere l’espansione iraniana.
L’Iran, un pilastro per gli sciiti e modello per i movimenti legati all’Islam politico originatosi in Egitto nel 1928 con i Fratelli Musulmani, ha visto Hamas come suo alleato fin dalla nascita di quest’ultimo.
L’alleanza tra Hamas e Teheran si inserisce in una visione del mondo che trascende le differenze tra sunniti e sciiti, dando vita a una prospettiva politica in cui il concetto di Umma (nazione islamica) prende forma, e dove tempo e spazio diventano irrilevanti. I punti cardinali di questa visione si radicano in una percezione idealizzata della religione islamica come archetipo di vita, un Islam concepito in cui cospirazione e vittimismo servono a preservare il potere.
L’attacco condotto da Hamas ieri voleva essenzialmente inviare un messaggio al mondo arabo e islamico: provocare una reazione nei paesi arabi che hanno deciso di stabilire relazioni diplomatiche con Israele e scoraggiare gli altri dal percorrere la via della normalizzazione con Tel Aviv. Tutto ciò, intriso nella logica di chi non ha mai adottato, né mai voluto, una strategia di costruzione della pace in una regione segnata da protratta instabilità. Nessuna strategia, e soprattutto, nessuna volontà.
Cronaca di una nuova guerra appena cominciata, primo giorno. Dal servizio di RaiNews a firma di Antonio Bonanata
— È cominciata all’alba l’operazione di guerra senza precedenti che Hamas ha sferrato contro Israele. Finora, il bilancio provvisorio parla di oltre 20 morti e più di 300 feriti (ci sono fonti che parlano di 545 feriti). Un lancio massiccio di razzi, centinaia, dalla Striscia di Gaza verso le città israeliane del sud e del centro, soprattutto le più vicine al punto di frizione: Sderot e, sulla costa, Ashkelon e Ashdod. Ma i missili sono arrivati anche a Tel Aviv e a Gerusalemme.
Ma, e questo è il dato peculiare, per la prima volta si sono registrati sconfinamenti di gruppi di miliziani palestinesi che, al grido di “Hamasim!”, hanno seminato il terrore nei sobborghi vicini al confine o lungo le autostrade, uccidendo persone per strada o sequestrando militari. Stamane, risultavano 5 soldati rapiti ma un dato preciso ancora non è disponibile. Nei quartieri delle città raggiunte dai miliziani sono state sparate raffiche di armi automatiche. Almeno dodici jeep bianche cariche di uomini sono state viste passare il confine, sempre molto presidiato, della Striscia. Alcuni ospedali hanno chiesto alla popolazione di donare il sangue.
Tra le ferme e unanimi condanne della comunità internazionale e la fulminea reazione del governo di Tel Aviv, che – lanciando l’operazione Spade di Ferro – ha risposto agli attacchi di Hamas bombardando alcune postazioni a Gaza e richiamando i riservisti (per portare avanti un’azione su “larga scala”), ci si interroga sul perché di un attacco così brutale e imponente da parte palestinese.
E c’è già chi fa notare che esattamente 50 anni fa scoppiava la Guerra dello Yom Kippur, tra una coalizione araba che riuniva Egitto e Siria e Israele, durata per tutto il mese di ottobre senza sostanziali vincitori e vinti. Ancora oggi quel conflitto si ricorda come l’episodio della decennale contrapposizione tra israeliani e palestinesi che, per la prima volta, mise in difficoltà i secondi, mostrandone la vulnerabilità soprattutto a causa dell’effetto-sorpresa di un attacco fulmineo e inatteso. Sferrato, allora come oggi, in pieno shabbat,
Per le dimensioni dell’operazione di oggi, è facile ipotizzare soprattutto la sua lunga preparazione, dal momento che finora i miliziani palestinesi non erano mai riusciti a entrare nel territorio nemico. Il capo dell’ala militare di Hamas, Mohammad Deif, da Gaza ha definito l’operazione Alluvione al-Aqsa giustificata “dalla profanazione dei luoghi santi a Gerusalemme” e dal costante rifiuto da parte di Israele di “liberare i nostri prigionieri”. Il rapimento dei soldati israeliani potrebbe quindi servire in future trattative per lo scambio o la liberazione di prigionieri palestinesi. Per tutta risposta, il ministro della Difesa israeliano Joav Gallant ha denunciato che “Hamas ha lanciato una guerra ed ha commesso un grave errore”.