venerdì 22 Novembre 2024

C'è una crepa in ogni cosa. E' da li' che entra la luce (Leonard Cohen)

SPERANZA PER ASSANGE

Se la notizia fosse confermata, marcherebbe una possibile svolta per uno dei casi giudiziari più controversi del secolo, quello di Julian Assange. Svolta possibile, sebbene forse non probabile, che si intreccia con fattori politici delicatissimi – come il voto di novembre per la Casa Bianca.

Secondo un articolo del Wall Street Journal – che citai “persone a conoscenza della vicenda”, incluso uno degli avvocati di Assange – il dipartimento di Giustizia americano sta valutando la possibilità di consentire al giornalista di dichiararsi colpevole di reati minori – rispetto a quelli gravissimi di cui è accusato – in modo da consentire un patteggiamento che porti al rilascio del fondatore di Wikileaks dal carcere britannico nel quale è detenuto dal 2019. Il giornale afferma che gli avvocati di Assange hanno avuto discussioni preliminari con funzionari del dipartimento di Giustizia per porre fine al lungo dramma legale, “una situazione di stallo piena di complessità politiche e legali”.

I contatti avvengono da mesi dietro le quinte, mentre Assange ha trascorso già cinque anni dietro le sbarre. Dal momento dell’arresto, combatte una lunga battaglia legale con il governo di Londra per evitare l’estradizione negli Stati Uniti, dove dovrebbe affrontare un processo su 18 capi d’accusa per cospirazione e spionaggio. Tutto per avere diffuso intorno al 2010 migliaia di documenti militari riservati statunitensi sulle guerre in Iraq e Afghanistan: notizie vere, fanno notare i suoi avvocati, che qualsiasi giornalista avrebbe pubblicato. La posizione dei procuratori americani è che la fuga di notizie ha messo a rischio la sicurezza nazionale e dunque deve essere duramente sanzionata.

Se i pubblici ministeri permettessero ad Assange di dichiararsi colpevole di cattiva gestione di documenti riservati – un reato minore – i cinque anni trascorsi in carcere a Londra conterebbero ai fini di qualsiasi condanna negli Stati Uniti e il giornalista potrebbe ritrovarsi con la pena già scontata e libero di lasciare la prigione poco dopo la conclusione di qualsiasi accordo.

Servirebbe intanto l’approvazione ai massimi livelli da parte del dipartimento di Giustizia. Barry Pollack, uno degli avvocati di Assange, ha detto di non avere alcuna indicazione che l’amministrazione stia pensando davvero di accettare il patteggiamento. Un portavoce del dipartimento di Giustizia ha rifiutato di commentare, aggiunge il Wall Street Journal. Nel frattempo si attende la decisione dell’Alta Corte britannica, che nel giro di poche settimane dovrebbe scegliere se concedere ad Assange un ulteriore ricorso in appello contro l’estradizione. Se l’istanza è respinta, nel giro di un mese l’attivista potrebbe essere deportato negli Stati Uniti.

Ma la faccenda a questo punto diventerebbe l’ennesima patata bollente nelle mani dell’amministrazione Biden, già sotto il fuoco delle critiche liberal per la sua gestione tentennante e sostanzialmente inerte della guerra di Gaza, con il massacro di quasi 32mila persone. La vicenda di Assange è da tempo controversa, anche perché chiama in causa la protezione della libertà di stampa, protetta dal Primo Emendamento della Costituzione americana.

Ecco perché il presidente americano, già in serie difficoltà nei sondaggi, preferirebbe arrivare al duello finale con Trump il 5 novembre senza questa ulteriore fonte di polemiche. E un’ipotesi di patteggiamento, per improbabile che sia sul piano legale, potrebbe diventare uno scenario plausibile.

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